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Manerbio da cantare, vedere e raccontare


La compagnia dialettale “Chèi dè Manèrbe”, come spesso fa, ha dedicato una serata-tributo al proprio fondatore, Memo Bortolozzi (Manerbio, 1936 - ivi, 2010). Lo spettacolo s’intitolava Manèrbe dè cöntà, dè éder e dè cantà (= “Manerbio da raccontare, da vedere e da cantare”): la nostra città è infatti la protagonista della sua opera e la serata è stata l’occasione per rivedere anche vecchi scatti in bianco e nero. Di storico c’era anche il gruppo “I Batmen”, che hanno effettuato l’accompagnamento musicale. Al pianoforte, c’era invece l’immancabile Luigi Damiani. Il tutto con la collaborazione del Fotostudio Monterenzi
chèi dè manèrbe

            Lo spettacolo ha avuto luogo il 10 gennaio 2020, presso il Teatro Civico di Manerbio, intitolato proprio a Bortolozzi. L’ “occasione speciale” era data dal decennale della morte di Memo. La sua ombra è stata impersonata dal giovane tenore Nicola Bonini, non nuovo a collaborazioni con la compagnia dialettale. È entrato vestito con molta proprietà e recando una valigia, per simulare il ritorno del poeta sui luoghi della propria vita: «Ma, se non sento nostalgia… vuoi vedere che non me ne sono mai andato?»
            Giusto per conoscere meglio il personaggio di cui sopra, la prima poesia recitata sul palco è stata Autoritràt: un impietoso e ironico autoritratto (appunto) in versi, in cui Memo si guarda allo specchio, durante la consueta rasatura. Il tempo, passando, ha lasciato un bel po’ di segni sulla sua faccia…
Deve consolarsi anche l’artigiano vasaio, che si sente alquanto fuori posto in un mondo di industrie e di elettronica… ma che sarebbe l’unico a cavarsela, in caso di blackout mondiale (Mé, artigiano).
Non se la passa bene neppure il negoziante protagonista di Domà l’è Nedàl (= “Domani è Natale”): la sera della vigilia, la sua bottega è deserta. Colpa sua, che non è capace di far l’ipocrita per andare d’accordo coi compaesani? Ne nasce un colloquio con Gesù Bambino…
Ad addolcire l’atmosfera, sono comparse sullo schermo la madre del Bortolozzi e le ragazze manerbiesi “di una volta”, nelle foto in bianco e nero. E A le s.cète dè Manèrbe era dedicata proprio una serenata dialettale. La pìzola era invece la trottola speciale (che “cresceva giorno per giorno, come una pianta”), promessa dal nonno al piccolo Memo, in cambio del silenzio sulle sue uscite all’osteria. A Zìa Rozèta è toccato un ricordo commosso, nella certezza che la sua sottile presenza non potesse essere stata cancellata nemmeno dalla morte. Il Viàs an foresterìa ha descritto invece una Manerbio “snaturata” da insegne commerciali in inglese e in francese, come se fosse diventata d’improvviso una città straniera… almeno finché non si volta un angolo…
Poi, le “Ville” di via Verdi, il cui giardino era un vivacissimo luogo d’incontro per i bambini; il Mella, che è padre e madre allo stesso tempo; La piasèta, altro luogo di giochi che non costavano niente, ma non avevano prezzo… e che avevano talvolta il sapore di una sfida.
C’è un po’ di tutto, nella Manerbio poetica di Memo: anche l’amore, o la politica, o i momenti al bar per bersi un pirlo. O il silenzio di un teatro vuoto… o la notte di San Lorenzo… O la paura di perdere l’amore dei propri cari, o di finire nelle mani di imbecilli e ruffiani.
chèi dè manèrbeLa parte musicale ha visto canzoni come Sö le rìe dèl Mèla (= “Sulle rive del Mella”), che ricorda il nostro fiume al tempo in cui era un rifugio per le coppie; Bòssa nòva bresàna, che impiega il dialetto dandogli ritmi diversi dal solito “zum-pa-pa”; La mé poezia (= “La mia poesia”), sulla gioia di poter regalare (coi versi) qualche goccia di sentimento… “perché anche due gocce non hanno prezzo, per chi muore di sete”.
Ma il finale è spettato alle note di Manèrbe, Manèrbe, stèla pö bèla dèl ciél (= “Manerbio, Manerbio, stella più bella del cielo”): la bellezza di una città si misura da quanto del proprio cuore vi si è lasciato.

Fotografie: © Fotostudio Monterenzi

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