Per intero, il racconto rappresenta un percorso mentale che
non puoi smettere di scoprire da lettore, sensibilizzando la ragione col
distinguo tra il meglio e il peggio che ti può succedere, divenuto
oggettivamente indecifrabile; specie se in rapporto all’emotività di un giovane
sprovveduto, che disdegna assolutamente l’ambiente che lo circonda, di un
qualunquismo costituito da donne di facili costumi, uomini volgari ed esigenti
a scapito di vittime consacrate, che possiedono fragilità amplificabili dal maltolto.
L’ascolto del buon, sempiterno rock smussa attimi di
profondo smarrimento, basti pensare a “The Wall” dei Pink Floyd, con la realtà
che solo così si assume il potere dell’infinito; volendo cambiare aria,
dimenticare l’amore nei riguardi di Helena, esauritosi col rifiuto da parte di
quest’ultima che si mise insieme col più fidato dei compagni di merenda di Axl,
fino a decidere di fare la puttana.
Da piccolo Axl colse in mezzo alla spazzatura un cagnetto,
per provare ad accudirlo lo tenne celato nella sua camera, conscio d’avere una
mamma perfida che non glielo avrebbe acconsentito, che detestava le bestiole…
il nostro immaginava la bellezza inusitata che sarebbe potuta consistere nel
riempire di premure un essere vivente tenero e privo della benché minima immunità,
e quindi nel realizzare cotanto segreto coi buoni propositi, ma al calar delle
tenebre, durante il sonno, la sig.ra Shammer gli strappò il pelosetto dai sogni
per poi buttarlo come se nulla fosse dall’alto, fuori di casa.
Nardelli reputa coloro che sarebbero propensi a seguirlo
nella narrazione delle persone di sicuro affidamento, capaci nel profondo di
ripulire la mente delle derive inerenti a una formazione dell’individuo
stantia, mirando e rimirando anime leggiadre e svolazzanti, però a tal punto da
suscitare invidia per come si possa raccogliere una fantasia di colori e
svilupparla, indifferenti alle brutture, senza badare ai giudizi… guarda caso
la rabbia di Axl prevaleva nel cuore di cotanto, medesimo personaggio,
afferrando e annientando il bello e stuzzicante esempio d’esistenziale rivalsa,
per decidere mascolinamente di farsi forza, diventare grande e avere la meglio
ogni volta su sentimenti terribilmente contrastanti, schiarendo così dei
bisogni da soddisfare.
Raggiunta la maggiore età, perfettamente consapevole della
violenza subita, una volta ricoveratosi in ospedale per forza di cose il
protagonista della storia si ritrovò in mezzo a una coppia affiatata, Mary Jane
e Dave, che si mantenevano chiedendo oboli con le buone o con le cattive,
soggetti alquanto curiosi dacché cervelli sfuggenti, anch’essi sottoposti a
delle cure in seguito a delle botte da orbi.
Nardelli riconosce che con l’ascolto del cuore la vita nuovamente
s’illumina, aldilà della sorte che spesso s’impone castigandoci, relegandoci a
una realtà eccessivamente giudiziosa… e in effetti racconta di come un giovane
uomo possa giurare su se stesso, nel profondo della coscienza come in mezzo a
dei rifiuti organici, di salvare dalla disperazione due giovani donne, pur con
la paura di soccombere a un mestiere che allude all’inesistenza, nient’altro
che alla tossicodipendenza, potendo essere scoperti e sbattuti in carcere senza
avere il diritto di replica.
Il tempo scorre senza attenuanti, col passo spedito, non
consolidando alti e bassi d’umore, alle prese inoltre con quella maledetta
impressione d’essere perseguitati, temendo semmai l’intervento degli
psichiatri; tra il cuore scalpitante per Kira e la pena incorporata da Mary
Jane che non faceva altro che sospirare immaginando che fine avesse fatto Dave
una volta catturato, risucchiato da un valore che si manifesta prima o poi,
tenendo conto di una dignità alquanto vacua.
L’esistenza qui equivale a un accessorio pregno di dubbi
latenti, da girare e rigirare nella mano con tutta una follia scatenante fatti
di certo più grandi dei personaggi che Nardelli orchestra con la parola;
traendo dall’indifferenza, che intensifica decisioni esterne smisurando la
convinzione di risultare incompresi, la semplicità d’intendere la malafede o la
difficoltà di raffigurare l’aspetto solidale.
Il racconto percorre e ripercorre un interrogativo derivato
da esperienze da intraprendere, sacrosante ma da cui si esce sconfitti e con le
emozioni a secco, rimpiccioliti dall’intento di conoscere qualcosa di nuovo e
di propositivo quando invece non resta che spaziare nell’incapacità di aiutare
degli affetti; col senso di libertà impossibile da predefinire se facendo un
passo in avanti ci si ritrova a dover mantenere l’equilibrio per non disperare
o per non far disperare.
Il mistero verte su indagini additanti da subito Axl
ch’era presente più o meno al momento dell’assassinio a dir poco brutale
di Helena; da qui il rimando alla sua costante impressione che lo spiassero
scaturisce eccome, tralasciando la probabilità che il nostro si comportasse
diversamente senza accorgersene e che dunque fosse un malato di mente, come se
avvolto dalla pellicola cinematografica di una ragione non condivisibile.
E comunque lo psichiatra che aveva in cura Kira e al quale
successivamente Axl chiede aiuto stranamente volge le spalle al culmine delle
indagini… Axl finisce allora in detenzione, con un poker di guardie che si
divertono a malmenarlo ovviamente senza darlo a vedere (e a nulla varrebbe la
testimonianza del suo compagno di cella, Frank, pur essendo costui uno dei
pochi in grado di capirlo), mentre l’ignoto circola nelle vene, oscurando la
figura del vero assassino di Helena, che si rivela abile nel discolparsi,
sempre sulla sua pelle.
La verità sta nell’ammettere d’aver mancato delle
responsabilità, e splenderebbe se ci attivassimo per riscoprire la fede nel
sovrumano, ricevendo così in cambio un cuore immenso, che batterebbe in
particolare per coloro che languono nel dolore… ma Axl evitava sempre di
guardarsi allo specchio, potendo finire annientato dal peggiore dei verdetti,
quello emesso da una mamma, limitante all’inverosimile, degenerante per
qualsiasi tipo di commiserazione.
Vincenzo Calò
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