Passa ai contenuti principali

Un palazzo di storia

A volte, i piccoli centri non sanno di custodire “Un patrimonio di valore”. Così s’intitolava l’iniziativa congiunta del Comune di Manerbio e della scuola media statale “A. Zammarchi”. Il 20 marzo 2016, i giovanissimi allievi dell’istituto hanno guidato gruppi di visitatori all’interno di Palazzo Luzzago - Di Bagno. Attualmente, esso è sede del municipio e del centro culturale civico (teatro-museo-biblioteca). 
Il portone d'ingresso.
            Era la residenza di campagna della secolare famiglia Luzzago. Il primo suo membro di cui si abbia notizia è il notaio Fiorino de Luciago, (n. 1330). Lui e i discendenti salirono di status, incamerando terreni appartenuti al clero e combinando matrimoni. Gli scritti secenteschi sui Luzzago sarebbero troppo fantasiosi. Si sa, però, di Vespasiano II (n. 1626) e Tito (n. 1628), che acquistarono nel 1678 dalla Repubblica di Venezia il titolo di Conti di Cesana. In una sua opera storiografica, mons. Paolo Guerrini (a Manerbio fra il 1905 e il 1907) li descrive come “due tipi di don Rodrigo”: prepotenti e incuranti delle leggi. Inseparabili nel crimine, subirono anche una condanna a sette anni di carcere.
            Il ramo manerbiese della famiglia si estinse quando Bianca Luzzago (n. 1790) andò in sposa al marchese Carlo Ferdinando Guidi di Bagno da Mantova (n. 1776).
            Nel sito dell’attuale piazza Cesare Battisti, si trovava - fino al 1782 - una caserma, fatta smantellare da Galeazzo Luzzago, per ragioni estetiche e di comodità. A spese della nobile famiglia, l’edificio fu trasferito a sud del borgo, in località Portone. Sempre nel XVIII secolo, l’architetto Gaspare Turbini fu incaricato di ristrutturare il palazzo. Scelse di farlo ignorando gli ordini classici. Impostò la facciata su linee orizzontali, che danno tuttora continuità agli elementi architettonici.
            Le sale che si affacciano sul portico presentano ancora proporzioni, coperture e decorazioni tardo-cinquecentesche. L’attuale Sala Mostre è la cosiddetta “caminada”: il suo pregevole camino poggia su zampe di leone in pietra ed è tuttora fregiato dello stemma dei Luzzago (un’aquila e tre cavoli). La cosiddetta “sala all’etrusca” (ora, Ufficio Cultura) imita le figure nere su fondo rosso tipiche dei vasi greci. 
Il soffitto della "sala all'etrusca".
            Sempre di Turbini è lo scalone di rappresentanza. Il vano è collegato al portico originale attraverso un’apertura a serliana (due archi retti da pilastri in marmo, con specchiature e uniti da una trabeazione). La ringhiera è abbellita da motivi vegetali in ferro battuto. Gli affreschi del vano sono attribuiti a Pietro Scalvini (Brescia, 1718-1792). Una finta statua rappresenta l’Allegoria dell’Abbondanza. Sulla volta dello scalone, tre Amorini reggono i simboli delle “virtù dei Luzzago”: bilancia (= giustizia), ulivo (= sapienza), cornucopia (= prosperità).
            In cima alle scale, grazie all’illusionismo prospettico, una finta volta a cassettoni apre il soffitto. Si prosegue nel Salone d’Onore, sulle cui pareti si aprono idilliaci paesaggi. Il soffitto reca un “Trionfo di Flora”, la dea della fioritura. Le porte sono  laccate “alla veneziana”. Nell’attuale saletta degli assessori, rimane una scena religiosa con angioletti.
            Sul corridoio successivo, si aprono ex-appartamenti privati: decorazioni floreali, uno specchio che moltiplica i giochi di luce, riquadri con scene campestri. In una di queste stanze, il soffitto è rivestito di seta dipinta a tempera. 
Trionfo di Flora.
            L’edificio che oggi ospita biblioteca e museo era la foresteria. Si vede ancora una torretta, un tempo utile per avvistamenti e come piccionaia.
            Queste informazioni (e molte altre) sono reperibili in: Giusi Villari, “Palazzo Luzzago a Manerbio. Da dimora nobiliare a sede comunale”, Manerbio 2009, Bressanelli.

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 107 (aprile 2016), p. 18.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...