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La nipote del diavolo - I, 9

Parte I: Fili pendenti



9.

Lo sguardo di Amedeo carezzò la fronte di Nilde, posata sulla sua spalla. Ciocche castano-ramate ombreggiavano le palpebre di lei, mollemente chiuse. Lui ascoltò il contatto calmo e serico con la pelle dell’altra, le dita affusolate che disegnavano l’orlo del suo ombelico. Rimboccò un poco il lenzuolo sotto il mento della ragazza. 

            Sorrise fra sé, al pensiero che solo l’anno prima non avrebbero mai immaginato di ritrovarsi così. Amedeo e Nilde si erano conosciuti al liceo “U. Foscolo” di Pavia, quando la figura d’entrambi era assai più dark. Quell’elemento di somiglianza doveva essere stato il primo ad avvicinarli. Poi, Nilde era abituata alle amicizie maschili fin dall’infanzia. A prescindere dall’eyeliner con cui s’incorniciava violentemente gli occhi, lei stessa – a quattordici anni – era abbastanza mascolina. Capelli corti, pantaloni di cuoio e Dr. Martens ai piedi. Aveva rivolto la parola a quel diciassettenne rosso-chiomato e dalla pelle d’alabastro come se fosse stata la cosa più scontata da fare. Da quel momento, la ricreazione e i momenti liberi dallo studio erano stati tutti per loro due. Passeggiate in bicicletta, soste al bar, musica e perfino scambi di battutacce. Amedeo era affascinato da quell’alchimia che gli impediva di sentirsi imbarazzato davanti a quell’unica rappresentante del gentil sesso. D’altro canto, Nilde stessa evitava accuratamente la compagnia delle coetanee. Per quanto si poteva vedere, lei provava un misto di curiosità e repulsione verso quelle creature che vivevano in stormo, rifondevano segreti intimi nei propri conciliaboli e passavano ore a rendersi attraenti per i ragazzi. A eccezione dell’eyeliner e del rossetto nero talvolta, Nilde sdegnava i cosmetici. Per assurdo, era l’elemento più misogino della classe – e la ragazza più bella. La sua assoluta mancanza di civetteria, comunque, aveva permesso ad Amedeo di condurre l’amicizia con lei in modo disinvolto e innocente per anni. Nilde univa la lealtà fraterna alla capacità di ascoltare le confidenze – cosa che al ragazzo non spiaceva. Soltanto verso i ventun anni d’età – quando la sua amica era ormai diventata maggiorenne – lui aveva ammesso a se stesso che lei, sì, un po’ lo turbava. Ma lo credeva quell’inevitabile turbamento fisiologico che l’avrebbe preso in ogni caso, in compagnia di una bella ragazza.
            Poi, c’era stata quella terribile avventura dell’apparente morte di Nilde. Il dolore muto e devastante di lui – poi, la percezione della vita dietro quel volto esangue, nella camera mortuaria. Il nascondimento di Nilde rediviva nell’appartamento di lui. E il primo amplesso.
            La sua “vergine di ferro” gli aveva aperto i penetrali; lui vi aveva trovato non le orrende punte di metallo dell’incubo, ma un paradiso d’umori che l’aveva restituito a se stesso.
La baciò  sulla fronte, come aveva fatto quando la credeva una salma. Le palpebre di Nilde si sollevarono e un sorriso beatifico fu emanato dalle sue iridi cristalline. Le dita di lui giocarono a ingarbugliarsi nei capelli della ragazza – non più corti, come quando era adolescente.
«Sai cosa mi piace di te?» le sussurrò. «Da nessun altro mi sono mai sentito compreso così in fondo».
Nilde gli rimandò un’espressione indecifrabile. «Io, invece, non so cosa mi piaccia propriamente… se io ami gli uomini… o la virilità. A volte, mi sento come se… come se io volessi indossare la tua pelle».
            Mentre parlava così, percorreva con le carezze gli arti lunghi e sottili del suo compagno. Le dita incontrarono il secondo cuore di lui, al centro del suo corpo. Amedeo si sentì mozzare il respiro. Rimase immobile, mentre il petto gli pulsava sempre più intollerabilmente.

[Continua]


Pubblicato su Uqbar Love, N. 180 (21 aprile 2016), p. 12.

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