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La nipote del diavolo - I, 8

Parte I: Fili pendenti



8.

Nel pomeriggio assolato di quella domenica, il Castello Visconteo dispiegava i colori caldi della propria mole come un maestoso dipinto. Isabella fissò le bifore graziose come ricami, quasi ad aspettarsene una risposta.
            Accanto a lei, il passo lieve di Raniero segnava appena il sentiero, sul fondo di quello che era stato il fossato. Ogni tanto, azzardavano qualche chiacchiera volubile: sull’andamento dei corsi della Lotus, sulle lezioni all’università, sulle qualità di the sperimentate dalla ragazza. Ma, quando lasciarono cadere il discorso, si resero conto che il loro silenzio non era poi così spiacevole. Perciò, vi si abbandonarono, sorridendosi ogni tanto per una gioia complice e capricciosa.
            Così facendo, passarono accanto a un gran mucchio di pietre, biancheggianti sotto il sole come ossa immani. Erano appartenute a quella Torre Civica di Pavia della quale, ormai, restava soltanto un mozzicone cariato. Arboscelli si levavano, secchi e nudi, dalle viscere del mucchio. I blocchi aggrovigliati erano coperti, qua e là, da pellicce d’edera. 

In mezzo a essa, qualcosa si mosse. Isabella s’illuminò: «Un gatto!»
Subito, corse verso quel grazioso manto di peli neri, che ancheggiava davanti a lei e la fissava con occhi rilucenti. Poi, il gatto scomparve.
            Ma, al posto suo, ne emersero altri ancora: snelli, tozzi, grigi, maculati. Volteggiavano per un poco sulle pietre, poi si dileguavano. La ragazza li fissò, con occhi di bambina innamorata – e frustrata da quell’inavvicinabilità. Dietro di lei, Raniero la guardava, silenzioso ma costante, e con un sorriso di comprensione sulle labbra.

[Continua]


Pubblicato su Uqbar Love, N. 179 (14 aprile 2016), p. 7.

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