Esistono ancora i burattini
nel XXI secolo? Certamente! Quest’arte antica, incantevole nella sua
semplicità, ha tuttora estimatori e praticanti. Come Fulvia “Babette” Marai, che ha accettato di farsi intervistare per
questo blog.
1 ) Quella dei burattini è una tradizione di famiglia, giusto? Ci parleresti di tuo zio Giacomo Onofrio e della sua carriera di burattinaio?
Si, è una tradizione che risale al 1925, quando il mio
bisnonno Giacomo Onofrio -detto il "Fiacca"- fondò la Compagnia
dei Burattini Onofrio.
Il mio bisnonno era già un acrobata ed un clown ("Fiacca"
era il suo nome d'arte da clown) ma, a seguito di un incidente a cavallo, fu
costretto a ricoverarsi in ospedale. Lì, per guadagnare qualcosa durante la
lunga degenza ed approfittando del fatto che le stanze degli ospedali
di allora erano delle lunghe camerate con decine di letti, cominciò ad esibirsi
con dei burattini presi in prestito dalle suore (loro le usavano per
intrattenere i bambini, lui per intrattenere i suoi compagni di stanza). Gli
piacque talmente tanto che nell'anno seguente cominciò ad acquistare
dei burattini da altri burattinai ed un po' alla volta a mettere insieme il suo
repertorio di commedie. Il mestiere passò poi a mio nonno (Giuseppe Onofrio) e
da lui a mio zio (Giacomo Onofrio -sì, c'era la tradizione di passare
anche i nomi Giacomo e Onofrio ai maschi della famiglia).
Mio zio è stato burattinaio per quarant’anni e si è esibito fino all'ultimo, perché ha amato moltissimo il suo mestiere. Ha fatto spettacoli regolarmente in tutto il nord Italia, ma in occasioni speciali si è spostato più a sud, come quando è stato ospite nel 1926 a Roma nella sedicesima edizione della Quadriennale d'Arte. Il tema era "Altri tempi, altri miti" e mio zio si esibì con la tragedia per burattini Simone Pianetti.
2) Se non è una domanda troppo personale: come mai hai deciso di portare avanti la sua attività?
Mio zio ci ha lasciato nel 2022 e negli ultimi anni vendette i
burattini più vecchi della sua collezione (quelli che risalivano a
"Fiacca", per intenderci) al Museo del Burattino di Bergamo (della
Fondazione Ravasio). Mia madre decise di comprare il resto della collezione,
sia per aiutare il fratello, sia perché non voleva che il patrimonio di
famiglia andasse smembrato. Ci ritrovammo quindi in casa casse e casse di
burattini, scenari e un intero teatrino completo di apparecchi audio e luci.
Aprire ciascuna di queste casse era come aprire un forziere di un
tesoro: dentro, c'erano bellissimi burattini perfettamente vestiti, curati in
moltissimi dettagli… Era impossibile non percepire l'amore che mio zio aveva
per i suoi "attori di legno": non ebbi il cuore di lasciali lì a
prendere polvere. Dopo molti ragionamenti e molte liste "pro e
contro", mio marito ed io decidemmo quindi per un cambio di carriera e di
buttarci a capofitto in questa avventura.
Quelle che invece sono cambiate sono le aspettative del pubblico che viene
ad assistere: per esempio, le ultime generazioni fanno fatica a comprendere il
dialetto e, per molti burattinai che lavorano con le maschere tradizionali
-come Gioppino o Brighella- è stato necessario lavorare sul linguaggio, rendere
il dialetto più "dolce", per farlo comprendere ai giovanissimi.
Un'altra cosa cambiata è la lunghezza degli spettacoli: ai tempi del bisnonno
"Fiacca", le commedie duravano due ore e mezzo, inframmezzate da
due intervalli, più una farsa finale che durava mezz'ora, per un totale di
tre ore di spettacolo ogni serata. Mio zio aveva ridotto i tempi ad un'ora e
mezza con un breve intervallo, ma è stato uno degli ultimi a mantenere questa
lunghezza che potremmo definire quasi "cinematografica": la maggior
parte dei burattinai offre spettacoli che durano in media un'oretta in un atto
unico.
Sia io che mio marito abbiamo avuto brevemente l'occasione di lavorare come
clown di fronte ad un pubblico: io ero un clown "bianco" e quindi mi
sono scelta un nome che potesse suonare pretenzioso e altolocato, poiché
i clown bianchi sono i clown "nobili", quelli che cercano di
comandare e che vengono poi presi in giro dai clown "rossi".
Babette fu scelto perché poteva essere facilmente storpiato in
"baguette", "barbette" e molte altre parole buffe! Mio
marito -che faceva il clown "rosso" in questione- invece non riusciva
a trovare un nome suo. Alla fine, scelse il suo stesso cognome, perché sapeva
che suonava simpatico, specialmente ai bambini. E così nacque il duo
Babette & Bazzan! Abbiamo deciso di usare i nostri nomi da clown anche come
burattinai, in onore della tradizione di famiglia!
5) Fabbricate voi stessi i vostri burattini?
Detto questo, però, quasi tutti i burattini che noi usiamo nella
nostra commedia La Regina delle Nevi
sono stati creati da noi, anch'essi in cartapesta: il motivo è che mio zio
Giacomo non aveva molti burattini femminili, poiché il protagonista di
tutte le sue commedie era Gioppino e le "donne" erano solitamente
comparse - principesse da salvare, streghe, sua moglie Margì e poche altre.
Essendo io la prima burattinaia donna della famiglia, ho dovuto creare delle
storie che prevedessero l'uso di voci di registro alto, femminile e quindi -di
conseguenza- anche creare i personaggi corrispondenti a quelle voci: bambini,
gnomi, una nonna affettuosa e la Regina delle Nevi in persona, un personaggio
-algido e terribile, seppure bellissimo- che quasi mancava al repertorio di mio
zio.
Abbiamo comunque il materiale ed i copioni delle vecchie commedie di mio
zio, sia quelle scritte da mia madre che quelle recuperate dal repertorio
Onofrio… non si sa mai, un giorno potremmo misurarci con uno dei classici di
famiglia!
La Regina delle Nevi
Abbiamo anche qualche ideuzza per misurarci con le perfomance di
strada, uno stile che mescola ventriloquio e arte burattinesca… ma quest'ultimo
progetto è ancora top-secret!
Una canzone scaricata da Spotify è curata nei minimi dettagli, resa
perfetta con varie tecniche e sempre piacevole da ascoltare a ripetizione nelle
cuffiette; ma è di quando si è andati al concerto ad ascoltare dal vivo quella
stessa canzone -col cantante sudato, la gente che stona nei cori, la calca
tutt'attorno- che si parla con gli altri, emozionandosi, vantandosi, dicendo
"io c'ero!" .
Uno spettacolo di burattini è come guardare i cartoni animati, in un certo
senso. Cartoni animati che però si muovono proprio davanti agli occhi del pubblico,
tridimensionali, materici, con un peso che li rende più "vivi", più
"reali" e più "animati" dei cartoni in televisione -che non
si possono toccare, ma solo vedere. I bambini, se ne hanno l'occasione, cercano
sempre di toccare i burattini! Sono meravigliati dal fatto stesso che li hanno
visti muoversi. Anche gli adulti subiscono lo stesso fascino: l'aggettivo
che sento ricorrere più spesso è "magico". "Sapevo che erano
burattini, che le loro bocche sono scolpite, non si muovono… ma, ad un certo
punto, me ne sono dimenticato! Ed io li ho visti muoversi, li ho visti parlare,
li ho visti perfino cambiare espressione!"
Quando ricevi questo tipo di complimento, è veramente un grande motivo
d'orgoglio per noi burattinai!
I burattini sono arte, artigianato, spettacolo dal vivo e quel pizzico di sospensione
dell'incredulità fa sì che persone di tutte le età si dimentichino -almeno per un'ora-
di aver di fronte semplici pupazzi di legno!
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