La Galatea di Pigmalione, la Coppelia del balletto classico… Siamo abituati all'idea della bambola che sembra vera, del simulacro che prende vita. In fondo, è anche il familiare meccanismo dei nostri giochi infantili: nelle nostre mani, i pupazzi acquistavano voce e personalità… Perciò, l'attesissimo film Barbie (2023; regia di Greta Gerwig) non sorprende in questo senso. Prende la protagonista dei nostri mondi-giocattolo e la fa diventare vera. Ma cosa vuol dire "vera"?
Immagine tratta da Wikimedia.org |
Le donne reali non sono certo come lei.
Possono avere la cellulite o i piedi piatti; non sono sempre splendenti e
felici… A ogni modo, il film ci regala stupende Barbie a grandezza naturale, in
una scenografia che sorprende per l'accuratezza con cui ricostruisce
quell'universo di plastica. E stavolta è abitabile… ci si può passeggiare, ci
si può vivere. Basta non tuffarsi in quelle grosse onde, quando ci si trova in
spiaggia…
Già, la spiaggia. Questo è il regno dei Ken. Mentre le Barbie sono
presidentesse, giornaliste, scrittrici, astronaute, netturbine, mamme,
esploratrici, sirene… loro passano la vita accanto alla loro brava tavola da
surf. Come direbbe Jessica Rabbit, non è colpa loro: è la Mattel che li disegna
così. Poi, c'è Allan (Michael Cera).
Allan chi? Appunto. E chi diavolo si
ricorda di lui, il migliore amico di Ken? Non alto, non biondo, non palestrato,
è il Cenerentolo di Barbieland.
Il Ken più Ken di tutti (Ryan Gosling),
un platinato tutto-muscoli-niente-cervello, è ovviamente innamorato della
Barbie assoluta (Margot Robbie): Barbie
Stereotipo, appunto. Non sa fare niente: è solo la classica bambolina,
bionda, carina, sorridente e con un guardaroba infinito. E non è nemmeno la
ragazza di Ken. Ha già la casa dei suoi sogni, la sua auto, le sue serate fra
ragazze… la sua vita perfetta. Cosa potrebbe mai darle di più quel bietolone?
Fra l'altro, essendo bambole, quei due non hanno nemmeno i genitali…
Tutto fila liscio, finché a Barbie
Stereotipo cominciano ad accadere cose
inaudite: alito pesante, toast bruciati, latte scaduto, piedi piatti,
cellulite… Che diamine succede? Quella
non è forse Barbieland, un'utopia scintillante e giocattolosa?
Per trovare un bandolo alla matassa, ci
vuole Barbie Stramba (Kate
McKinnon). La chiamano così perché una bambina l'ha sfigurata e disarticolata,
giocandoci in modo violento. Ma, ora, ha il dono di rendere perfette le altre
bambole e di vedere là dove loro non arrivano. Il dono degli
"strambi", insomma. È lei a capire che è avvenuta un'interferenza fra Barbieland e il Mondo
Reale. A quanto pare, qualcuno ha messo un po' troppo della propria umanità
in quella figurina di plastica… Barbie deve partire per il Mondo Reale e
trovare un contatto con questa bambina, se vuol rimettere a posto le cose.
Questo viaggio straordinario è destinato a cambiare la sua esistenza, quella di
una madre e una figlia… e a mettere in subbuglio i dirigenti della Mattel,
naturalmente.
Scherzi a parte, questo è un film ironico dal sapore agrodolce. Inizia
con una grandiosa visione che cita 2001 - Odissea nello Spazio: l'epocale evoluzione della bambola da bebè per future
mamme a donna di successo dai mille ruoli. Di certo, grazie alla Barbie, sono
cresciute generazioni di bambine emancipate e con vaste prospettive… o no?
Bastasse un giocattolo a fare tutto questo…! La Mattel vende sogni, ma la
realtà è ben diversa. In una citazione quasi parodistica di Matrix, la protagonista deve scegliere
un'amara pillola in forma di ciabatta e dire addio ai tacchi a spillo. La
verità è che confondere Barbieland col
Mondo Reale crea frustrazione e sogni impossibili. Ma, allora, a cosa serve
un giocattolo? Può far vivere (e rivivere) emozioni, avvicinare due generazioni
diverse, ispirare creazioni e far riflettere. Può farci tirar fuori la sana leggerezza di cui abbiamo
disperatamente bisogno. Perché, senza buttare via la cappa delle aspettative e
dei ruoli, non si può giocare al gioco imprevedibile che è la vita. E chissà
che Barbie non possa addirittura preferire quest'ultimo. Life in plastic, it's fantastic… solo fino a un certo punto.
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