Un
collage di Giovanna Cremaschini sembrava invece portarci in Africa a
contemplare una maschera rituale dai lineamenti ipnotici, realizzata con
semplici materiali di recupero quali carta, stoffa e bottoni. Una scritta
faceva parte dell’opera: “Mostrami prima l’uomo che è in te e poi io ti
mostrerò il mio Dio”.
Dalla
vitalità di quest’immagine al gelo del nudo femminile di Fabiana Brognoli: la
posa abbandonata, le forme astratte, l’espressione abbattuta si accompagnavano
a tinte fredde (grigio e azzurro), appena riscaldate da tocchi di colore
sabbioso. In alcuni momenti della vita, l’anima messa a nudo ha questo aspetto…
Sottilmente
fiabeschi erano i quadretti di Claudia Zucchelli: qui, tre bambine imboccavano
vie misteriose, ciascuna recando il proprio carico.
Liberi e
squillanti erano i colori impiegati da Luigi Viviani per realizzare i suoi
“murales” su una tavola di legno, come ad esprimere una creatività fatta della
gioia di sfogare le emozioni. Sempre a tinte vivaci era la scultura di Lorena
Lamagni: un pavone stilizzato.
Luciano
Baiguera, curatore della mostra, aveva proposto una sua opera alquanto
enigmatica: Archeologia industriale (1990). Pezzi di ferro (materiale antico
e modernissimo allo stesso tempo) creavano forme solide in un deserto notturno,
come a rappresentare l’alba della civiltà tecnologica. Allo stesso tempo,
rimaneva all’osservatore il dubbio che esse fossero abbandonate, destinate a
corrodersi per l’azione degli agenti naturali. Il senso di surrealtà trasmesso
dall’opera ricordava le atmosfere di René Magritte.
Zefirino
Buono era l’autore di S’il vous plaît, mon amour (“Per favore, amore mio”):
un gigantesco cuore d’oro, offerta eccellente per qualsiasi beneamato.
Marcella
Bertoli e Stefano Cavalli avevano realizzato una serie di mini-serigrafie di un
volto femminile, ciascuna in una diversa combinazione di colori. L’allusione
alla Marilyn Monroe e alla Jackie Kennedy di Andy Warhol era evidente.
Un’originalità di questa mostra era l’aver dato un posto anche alla poesia. Su quadretti cartacei, erano riportati versi di Eliana Gambaretti e di Erica Gazzoldi, ispirati alla contemplazione della natura.
Un
profilo solido ed essenziale era stato scolpito da Cristina Brognoli in un
blocchetto di materiale edilizio rinvenuto per caso: un’opera dal sapore
primitivo, ma in materiale assai moderno.
Sempre
Fabio Sterza aveva immortalato un arco naturale localizzato sulle Isole Ebridi:
lo Stac a’ phris arch, nella sua rocciosa bellezza.
Alessandra
Comaroli aveva presentato un collage, Mazurka ridotta da quattro mani a due:
un coro di giovani donne avente alle spalle colonne di lunghezza variabile,
come se esse segnalassero le diverse altezze dei suoni da loro emessi.
Carlo
Monterenzi aveva proposto una fotografia di foglie secche in viola e bianco: un
semplice cambio di colori le aveva trasformate in dettagli di una natura
oltremondana.
Proprio
la semplicità di un mutamento di sguardo aveva ispirato le opere esposte, mostrando
come l’arte non sia un complicato gioco di bravura, ma l’apertura di nuove
prospettive sul mondo: un istante d’illuminazione.
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