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InterviStorie – Intervista con Jennifer Radulović

Immagine di Jennifer Radulović
Jennifer Radulović è storica militare, divulgatrice e storyteller. Nata a Milano da una famiglia multietnica e pluriconfessionale, si è laureata in Lettere nel 2008 con una tesi di Storia Medievale. Ha poi conseguito una laurea magistrale in Scienze Storiche. Si è addottorata in Studi storici e documentari nel 2015 con una ricerca sull’Ungheria medievale e l’avanzata dei Mongoli in Europa. Si è inoltre diplomata in Archivistica, Diplomatica e Paleografia presso l'Archivio di Stato di Milano (2013). Il suo stile comunicativo coinvolgente e romanzesco (che non rinuncia però alla precisione e alla verifica delle fonti) risulta efficace anche per chi ha minore dimestichezza col suo campo di studi. Fra le sue opere, una delle più recenti è: Milano immaginifica. Guida difforme della città (2022, Il Palindromo).

Ovviamente, non avremmo potuto non dedicarle un’InterviStoria. 

 

1)    Cosa ti ha spinto a divenire una storica e ad occuparti di temi militari?

Sin da bambina, avevo la passione dello studio e della ricerca in generale. Ero appassionatissima di molte discipline, soprattutto (ma non solo) di area umanistica. Poi, una volta, ho combinato un piccolo pasticcio con un compito in classe di storia, in prima media, perché c’erano molte domande a cui rispondere. Io ero una studentessa attentissima ai particolari e che scriveva molto; quindi, coi fogli protocollo grandi che si usavano all’epoca, mi sono messa a rispondere alla prima domanda. Ad un certo punto, è suonata la campanella, mentre ero ancora completamente presa dalla scrittura; il professore, che era molto gentile nei miei confronti, mi ha messo la mano sulla spalla e mi ha detto: «Jennifer, Jennifer! Devi consegnare!» Allora, mi sono accorta che erano passate due o tre ore, ma che avevo risposto soltanto alla prima domanda. Ovviamente, mi è venuto un coccolone; ho trascorso una settimana d’inferno, pensando che avrei preso un voto terribile. Invece, avevo arricchito la mia risposta di così tanti particolari, contestualizzandola così bene che ho comunque preso “Ottimo”, perché – di fatto – avevo risposto anche a ciò che veniva richiesto dalle altre domande. Ovviamente, è stato un errore, perché una persona deve saper apprendere anche la sintesi. Però, avevo solo undici anni e avevo studiato tantissimo; adoravo il Medioevo e quel professore, alcuni anni dopo, quando ho cominciato a scrivere narrativa, mi ha regalato un libro illustrato: L’Europa nel Medioevo, di Georges Duby. Quando l’ho letto (ero adolescente), ho deciso che avrei fatto la storica.

Perché proprio temi militari? Io sono molto appassionata (per quanto concerne il mio percorso a livello accademico) alle grandi battaglie campali e le vedo sempre non in chiave di storia evenemenziale, ma di storia delle mentalità. Parto dal presupposto che, sul campo di battaglia, prima di due eserciti contrapposti, sono state due mentalità inconciliabili a trovarsi l’una di fronte all’altra. L’altra caratteristica che mi fa amare questi temi è il fatto che, in guerra, gli uomini sono costretti a dare il meglio o il peggio di sé.

 

2)    Le tue lezioni-spettacolo combinano il rigore della ricerca alla tua naturale esuberanza: secondo te, quanto ha bisogno l’Italia di divulgatori che sappiano ottenere questo connubio?

Sicuramente, l’Italia ne ha tanto bisogno, per quel che posso pensarne io. L’Italia non ha una grande tradizione nell’ambito della divulgazione, a differenza dei Paesi anglofoni, in primis l’Inghilterra: qui, le grandi università come quelle di Oxford e di Cambridge addirittura pagano i loro docenti perché facciano anche divulgazione al di fuori dell’ambito accademico. Questo, in parte, succede anche negli Stati Uniti, dove la divulgazione è molto quotata. In Italia, i divulgatori sono pochi;  invece, secondo me, è una figura professionale indispensabile: rivolgendosi ai non addetti ai lavori, può offrire conoscenze importanti anche a persone che non sono studiosi di professione o che, comunque, non lo sono di quelle determinate discipline, ma che possono ottenere un arricchimento culturale o scoprire una passione. L’importante, però, è che il divulgatore, oltre ad avere conoscenze scientifiche forti nel suo campo, abbia un modo di esprimersi accattivante e semplice. Secondo me, questo è fattibilissimo: io ho ricevuto grandissime soddisfazioni, in tanti anni di lavoro, da parte delle persone più comuni, più umili, meno istruite, che avevano però una grandissima sensibilità ed erano molto ricettive anche nei confronti di argomenti molto dotti e complicati. Essendo stati trasmessi in modo comprensibile, avevano toccato le corde del loro interesse. Sì, in Italia c’è molto bisogno di buoni divulgatori; ce ne sono già alcuni, sono bravissimi, ma auspico che questa figura professionale cresca sempre di più.

 

3)    Io ti ho conosciuto quando parlavi di fenomeni come vampirismo e spiritismo sotto il profilo storico. Cosa significa “studiare la storia” di ciò che appartiene all’ambito delle credenze e dell’immaginario?

Come studiosa, significa confrontarsi con una sensibilità che (a quanto pare) è radicata negli istinti dell’essere umano. Oltre che a fatti meramente storici, significa fare attenzione alla storia dei movimenti sociali e culturali e all’antropologia. Come studiosa, però, al di là di questo, significa anche (dal punto di vista umano e personale) confrontarsi con grandi interrogativi che muovono quasi tutti gli esseri umani e con persone che magari, al giorno d’oggi, al di là della loro istruzione, credono o non credono nei fenomeni paranormali. Significa interrogarsi su cosa spinga gli uomini a cercare qualcosa che vada al di là del mondo sensibile che conosce e quali siano determinate dinamiche; porta anche a farsi molte domande sui fenomeni percettivi, sulla suggestione e sull’autosuggestione. Quindi, è sicuramente molto interessante. È bene però sottolineare che questi riscontri ci sono in tutte le materie e in tutti i temi: anche quando si parla di una battaglia, ci sono fenomeni di percezione importanti, fenomeni di suggestione e autosuggestione. È il motivo per il quale (ad esempio) si possono avere testimonianze discordanti, non solo per la posizione diversa che queste persone occupavano a causa del proprio ruolo, o a causa del loro schieramento, o della loro visuale del campo di battaglia, ma anche per una questione di percezione personale. Ciò che è terribile per una persona è meno terribile per un’altra; una può rimanere più colpita dal punto di vista spirituale o interiore, o da un determinato particolare anziché da un altro. Quindi, l’autopercezione, la suggestione e l’autosuggestione incidono sulla ricezione di qualsiasi evento. Figuriamoci poi quando si tratta di materie sensibili come il paranormale.

 

4)    Sei anche narratrice e hai tenuto corsi di scrittura creativa. Comprendere e raccontare la Storia richiede anche immaginazione?

 

Forse, non è indispensabile, ma sicuramente l’immaginazione aiuta, sia nel comprendere che nel raccontare la Storia. Aiuta a comprenderla, perché (per quanto noi storici possiamo sforzarci) dobbiamo fare una ricostruzione a partire dalle fonti, che sono parziali; quindi, l’immaginazione può contribuire a ricreare nella nostra mente un mondo e una situazione di cui non abbiamo tutti gli elementi, a immaginare cosa sia accaduto. Quand’ero a scuola e mi veniva raccontato qualche episodio storico, l’immaginazione mi aiutava a calarmi in quella situazione. Questo non vuol dire stravolgere il dato reale: se una fonte dice una cosa, è quella. Però, vuol dire anche ponderare  diversi esiti possibili e cercare di formulare ipotesi laddove ci sono buchi documentari. Perché questa cosa è stata detta in un certo modo? Cosa pensava quella persona? È stata influenzata da qualcosa? Immaginarlo ci aiuta a comprenderlo e raccontarlo. Ai miei ascoltatori, posso proporre anche ipotesi interessanti e degne di attenzione su questioni o particolari che non sono traditi dalle fonti, perché li ho immaginati. Ciò non vuol dire che le mie ipotesi siano per forza corrette; ma almeno posso postularle o presentarle al pubblico come valide, perché sono basate su determinate conoscenze. Dopodiché, non si può dare niente per assodato, finché non è stato comprovato.

 

5)    Essere donna e specialista del sapere in Italia: il sessismo ha per caso inciso sulle reazioni del pubblico e sul modo in cui la tua autorevolezza è stata riconosciuta?

 

Non lo credevo. Da alcuni anni a questa parte, purtroppo, ho cambiato idea e penso che il sessismo abbia anche inciso negativamente sulla mia attività. Ho subito sessismo in due diversi modi: uno da parte delle persone molto ignoranti e l’altro da parte delle persone di una certa levatura. Da parte delle prime, quando organizzavo eventi che riscuotevano successo, mi arrivavano sui social, in privato (in particolare su Messenger), moltissimi messaggi. In alcuni periodi, nel 2017, mi è capitato addirittura di riceverne quasi mille al giorno; in gran parte, erano insulti, o proposte oscene, o minacce di stupro. Ovviamente, questo era dovuto al fatto che sono una donna (“Sei f*ga!”; foto di falli in erezione… sono cose che succedono soprattutto alle donne). Può capitare anche a un uomo e me ne dispiace; ma è meno frequente. Se non fossi stata una donna, sicuramente non mi sarei beccata così tanti insulti. Invece, per quanto concerne le persone di una certa levatura, essendo io forse di gradevole aspetto e avendo anche uno stile d’abbigliamento molto appariscente, mi sono accorta che, di primo acchito, non mi tenevano molto in considerazione o mettevano in dubbio la mia serietà o la mia levatura di studiosa, per via delle apparenze (capelli biondi, scollatura, rossetto…). Però, devo anche dire che questa è una cosa che mi preoccupa assai poco, perché so che, quando apro la bocca per parlare o inizio a scrivere, sono talmente palesi le mie competenze in alcuni ambiti che la valutazione del mio lavoro non cambia. Riscuoto quotidianamente moltissima stima e moltissimi apprezzamenti da parte di persone di grandissima levatura, che non dubitano della bontà e della serietà delle mie attività.

 

6)    La tua divulgazione, oltre che la storia, riguarda la letteratura e lo spettacolo. Finora, il tuo pubblico quale “filone” ha dimostrato di amare di più? E perché, secondo te?

Diciamo che c’è stato un periodo (tra il 2016 e il 2018) in cui il pubblico amava molto che io proponessi dei temi legati all’età vittoriana, in chiave magari tenebrosa o misteriosa, ma non solo. Devo dire che l’età vittoriana in generale piace moltissimo ed effettivamente è assai affascinante. Però, poi, ho riscosso un grande successo anche con gli eventi che ho dedicato al Medioevo e, da un po’ di tempo a questa parte, anche con temi legati al Novecento e alla storia della provocazione, al cantautore francese Serge Gainsbourg, alla storia della moda (ovviamente, in chiave sociale e di rivendicazione dei diritti, soprattutto da parte delle donne o negli anni Ottanta). Credo che, in realtà, il pubblico, nel momento in cui stima un divulgatore, gli si affidi e che quindi ami ciò che fa, al di là del tema. Anche quando propongo temi diametralmente opposti fra loro, la risposta del pubblico è molto buona.

 

7)    Mi permetto di dire che il tuo fascino e il tuo senso estetico giocano un ruolo notevole della tua divulgazione. La bellezza e il piacere hanno un peso sacrosanto nel generare sete di sapere… Questo quanto è stato compreso, in Italia?

Innanzitutto, grazie per i complimenti. Non credo di meritarmi tutto questo. In realtà, credo che incidano fino a un certo punto: possono essere un richiamo per una persona che non mi conosce e che è incuriosita dal fatto che una persona con un certo stile si occupi di attività intellettuali e sia una studiosa. Viene avvertita come una cosa particolare e poco diffusa. Però, nel momento in cui le persone si siedono in una sala ad ascoltarmi, dopo cinque minuti si dimenticano del mio aspetto e sono invece molto attente al tema. Uno dei complimenti più belli che abbia ricevuto in tanti anni di conferenze pubbliche è arrivato forse nel 2015 o nel 2016. Avevo presentato uno dei miei libri (non so se quello su Federico Barbarossa o sull’invasione dei Mongoli) e la presentazione si era di fatto convertita in una lezione-spettacolo. Quando ho finito, diverse persone hanno acquistato una copia del libro e mi si sono avvicinate per farselo dedicare. A un certo punto, è arrivata una coppia matura, forse anche più anziana dei miei genitori. Il marito mi ha detto: «Signorina, devo farLe un complimento: in realtà, sono venuto a questa conferenza per accompagnare mia moglie. Quando sono entrato, ho pensato che Lei fosse bellissima. Quando ha iniziato a parlare, me lo sono dimenticato.»  Quello è stato per me il complimento più bello che abbia mai ricevuto in assoluto in tanti anni di mestiere.

 

8)    Eclettismo e specializzazione: quali sono i pro e i contro dell’uno e dell’altro?

Questa è una bella domanda. In realtà, credo che siano necessari in una buona misura entrambi per essere dei buoni studiosi. L’eclettismo, senza una specializzazione, rischia di diventare qualcosa di caotico, di disorganizzato e (soprattutto) di trasformare una persona in un tuttologo. È impossibile essere veramente tuttologi. Il rischio è di sapere un po’ di tante cose, ma nessuna bene, senza alcun approfondimento. La specializzazione, quando è estrema, a mio avviso, porta a un grandissimo conformismo e rigidismo, perché non abitua a guardare al di là di un piccolo campo d’indagine. Può far perdere completamente la visione d’insieme, per concentrarsi solo su dettagli piccolissimi. Alla fine, porta a un impoverimento della stessa ricerca, perché altri approcci possono essere per noi occasione di una suggestione o di una scoperta. Per esempio, io sono una storica pura; ma, per quanto riguarda il Medioevo, ho ricevuto raffronti molto interessanti, suggestioni davvero preziose da parte di storici dell’arte, antropologi, paleografi… studiosi dello stesso periodo, ma in altre discipline, che quindi avevano una prospettiva diversa. Allo stesso modo, a volte, occuparmi di temi diversi mi fa poi tornare con un’altra freschezza e un rinnovato entusiasmo alle tematiche precedenti; inizio a trovare parallelismi e correlazioni che prima non avevo notato.

            Insomma, l’eclettismo totale è solo una dispersione di energie, che fa diventare superficiali, a discapito dell’approfondimento. Uno studioso deve assolutamente avere una sua area prediletta di indagine e ricerca; poi, periodicamente, può eleggere un altro tema al quale dedicarsi anima e corpo, ma sul quale rimanere per qualche anno (non qualche giorno o qualche settimana!), in modo da approfondirlo, per poi tornare al suo campo di studi principale. Io, se mi devo autodefinire, mi sento una storica, prima che una medievista; quindi, è l’amore per la storia quello che mi anima. Io non ritengo di fare alcunché di diverso, quando mi occupo di Medioevo anziché di età vittoriana, o del Novecento, perché sto sempre facendo il mio mestiere. Di certo, se passo dal Medioevo all’età vittoriana, ho bisogno di qualche anno per riuscire a comprendere le dinamiche di questo periodo storico, altrimenti farei un lavoro molto superficiale e le conoscenze non diverrebbero solide. Eclettismo e specializzazione devono essere compresenti nella giusta misura, per far bene il proprio mestiere di studiosi.

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