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Leggende bresciane: il rifugio dei pagani

tambe dei pagà saviore
Non si può dire che i bresciani non abbiano la propria parte di fantasia, per quanto riguarda la produzione di leggende locali. Possiamo vederlo (ad esempio) in una simpatica “guida turistica” a tema: Misteri & leggende della Lombardia di Marco Alex Pepè (Treviso 2019, Editoriale Programma). Nella sezione “Provincia di Brescia”, fra le altre, c’è una storia che riguarda Saviore dell’Adamello, in Valcamonica, e in particolare le frazioni di Ponte e Valle. Nel sottosuolo di queste, pare si snodino cinque cunicoli: antiche miniere di rame, dette “le Tambe dei Pagà”, ovvero “i nascondigli dei pagani”. La parte suggestiva della leggenda vuole infatti che qui si nascondessero tutti coloro che rifiutavano la conversione al Cristianesimo. Uno dei sacerdoti di questa comunità sarebbe anche stato oggetto di uno scherzo discutibile, trasudante umorismo rustico. Pepè lo descrive come il classico vecchio saggio dalla barba bianca. Ogni tanto, costui sarebbe uscito dalle antiche miniere per andare a contemplare la vita paesana. Si sedeva presso la chiesa, seduto su un gradino, e stava ad osservare i fedeli che andavano e venivano. Si vociferava che il vegliardo scagliasse sortilegi, evocasse gli spiriti delle foreste, richiamasse la pioggia o allontanasse le tempeste. La gente del villaggio, solitamente, non osava molestarlo, per paura della sua ira. Un giorno, però, alcuni giovinastri gli giocarono un brutto scherzo. Con alcuni carboni ardenti, arroventarono il posto su cui era solito sedersi. Quando il vecchio saggio si accomodò come sempre, si ustionò il didietro. Per il dolore e per la vergogna, non osò più tornare in paese. 

Poco lontano, a Cevo, nei pressi del santuario della Madonna di Caravaggio che sorge sul Dosso dell’Androla, Pepè indica un’altra curiosità simile. Anche sul sito del santuario, si troverebbero i resti di antiche miniere di rame. Stavolta, la fantasia popolare li ha trasformati in “buchi delle streghe”, ovvero rifugi per queste particolari figure. Si diceva che le “Strìe de l’Andròla” compissero scorribande nefaste. A custodia del loro nascondiglio, avrebbero posto un serpente che portava un anello d’oro sulla coda.

 

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 156 (agosto 2020), p. 6.

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