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La caduta del muro di Berlino raccontata alla LUM

muro di berlino visto dall'alto
Il muro di Berlino
Un muro può assumere il valore di delimitazione dello spazio domestico, difesa del proprio pudore, rifiuto della verità, obbligo, divieto, testardaggine e chiusura al contatto. I “muri” sono argomento d’attualità, nell’affrontare le difficoltà legate alle migrazioni di massa. Soprattutto, possono diventare simbolo di un’epoca. Come il muro di Berlino. Ne ha parlato il prof. Damiano Solsi, alla Libera Università di Manerbio (LUM). La sua conferenza, tenutasi il 16 novembre 2017, al Teatro Civico “M. Bortolozzi”, e s’intitolava “La caduta del muro di Berlino”. 

            Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Europa si trovava divisa fra due “blocchi”, corrispondenti a modelli socioeconomici facenti riferimento a quello statunitense (a Occidente) e a quello sovietico (a Oriente). Per descrivere la situazione, nel 1946, Churchill impiegò la celebre espressione: “cortina di ferro”. Tra i due “blocchi”, vigeva infatti un clima di sospetto e tensione (anticomunista da una parte, anticapitalista dall’altra).
            La Germania era suddivisa in quattro zone di occupazione, tante quante erano le potenze vincitrici (USA, Regno Unito, Francia, Unione Sovietica). Berlino, pur trovandosi nel settore russo, fu suddivisa a propria volta in quattro aree.
            Nel 1949, le prime tre zone si riunirono nella Repubblica Federale di Germania. Qualche mese più tardi, nacque la Repubblica Democratica Tedesca (nota anche con la sigla “DDR”, per “Deutsche Demokratische Republik”), nell’area orientale. Una polarizzazione dovuta allo scoppio della Guerra Fredda. Berlino Ovest si trovò a essere un’enclave filo-occidentale all’interno della DDR. 
            Mentre la Germania occidentale viveva un boom economico, ciò era più difficile a Est: sia per le richieste economiche da parte dell’URSS (che doveva riparare i danni di guerra), sia per una politica economica che tendeva a bloccare ogni iniziativa privata. L’Occidente cominciò perciò a essere un polo di attrazione. Ciò si scontrava, però, con le limitazioni alla libertà di movimento introdotte per via della Guerra Fredda.
            Circa 2,5 milioni di tedeschi orientali fuggirono a ovest, tra il 1949 e il 1961. Si trattava soprattutto di giovani, laureati, artigiani, operai specializzati (talora militari).
prof. damiano solsi
Prof. Damiano Solsi
            Dal 1960 al 1971, fu presidente del Consiglio di Stato della DDR Walter Ulbricht. Nikita Chruščëv fu il segretario del Comitato centrale del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica) dal 1953 al 1964 e presidente del Consiglio dei Ministri dell’URSS (1958-1964). La costruzione del muro di Berlino (1961) cominciò pertanto mentre erano in carica. Due mesi prima, Ulbricht aveva negato che fosse in costruzione un muro. Quando la divisione fisica di Berlino fu evidente, il muro venne giustificato come “Barriera di protezione antifascista”.
            Famoso per essere “sorto in una notte”, il muro ebbe ovviamente bisogno di anni per svilupparsi davvero in una complessa fortificazione. In quegli anni (’61-’89), nacque l’espressione “socialismo reale”: ovvero, storicamente esistente (non utopico o ideale).
            La caduta del muro (9 novembre 1989), così come la sua costruzione, fu preceduta da complessi eventi di politica internazionale. Con esso, non scomparve però l’eredità della divisione. Nella Germania orientale, permane un reddito pro-capite più basso, la popolazione ha un’età media più alta, raccolgono più voti i partiti di estrema destra, ci sono più asili nido, si produce meno spazzatura, sono più vaste le aziende agricole ed è più diffusa l’abitudine di vaccinarsi.




Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 127 (dicembre 2017), p. 13.

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