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“Bella ciao”: intervista con Ninetta Pierangeli

Bella ciao è il titolo del romanzo di Ninetta Pierangeli recentemente pubblicato (2017, Scatole Parlanti). L’autrice ha scambiato quattro chiacchiere con noi… 
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Ninetta Pierangeli, Bella ciao 
(2017, Scatole Parlanti)

1)      Il tuo romanzo è ambientato durante gli “anni di piombo”: periodo in cui sembrava che gli ideali politici e la dimensione pubblica assorbissero ogni ambito della vita. Eppure, la storia che racconti è una storia d’amore… Com’è stato possibile trovare spazio per l’intimità e il sentimento, in una simile cornice?

In realtà, l’amore, se viene cacciato dalla porta, rientra dalla finestra. Abbiamo diverse storie d’amore tra i terroristi di quegli anni. Mi vengono in mente, fra la sinistra, Mara Cagol e Renato Curcio. O, fra l’eversione di destra, la coppia Mambro-Fioravanti.
Sicuramente, l’eversione è stata un fenomeno per lo più giovanile e, quindi, la componente sentimentale non poteva esserne completamente esclusa - per quanto negli ambienti extraparlamentari di sinistra venisse disprezzato il sentimentalismo borghese. Sì, ufficialmente, la vita privata, per un terrorista, non avrebbe dovuto esistere; ma io ho pensato, scrivendo questo libro, che siamo uomini e non possiamo sottrarci alle nostre debolezze. Che, poi, l’amore, in questo racconto, tanto una debolezza non sembra.


2)      Due profili morali molto diversi, quelli di Alberto e Monica: uno semplice e concreto, come la terra; l’altra tendente all’alto, potente (e distruttiva) come il fuoco. Come hanno potuto incontrarsi? E quale (secondo te) è quello vincente? Anzi: c’è qualcosa da vincere?

Alberto si è innamorato di Monica: la ragazza bella fuori e bella dentro. Quel suo essere tutto per la causa degli ultimi l’ha resa più bella agli occhi di Alberto. E, poi, c’erano le suggestioni letterarie: quell’amore che i poeti antichi avevano così ben cantato e che lei conosceva e ripeteva. E anche Alberto cantava: canzoni semplici con la chitarra, ma a Monica piacevano. Il destino degli opposti, poi, si sa, è quello di attrarsi. Nella storia, il profilo vincente è quello semplice e concreto di Alberto; ma Alberto, nella sua concretezza, non dimenticherà mai Monica e il fuoco che l’ha scottato.


3)      Alberto e Monica sono personaggi del proprio tempo o sono universali? O entrambe le cose? Un’epoca storica ben precisa può essere un simbolo di condizioni esistenziali che vanno oltre il “qui e ora”?


Senza dubbio, Alberto e Monica sono figli del loro tempo. I loro problemi e le loro speranze sono distanti anni luce dai giovani di oggi. Non perché i giovani di allora fossero meglio di questi. Vivevano, semplicemente, in un momento diverso. Adesso, nessun giovane penserebbe di cambiare i rapporti sociali, il modello di produzione nelle fabbriche, lo Stato nel suo complesso. Da un lato, è tramontata una speranza; dall’altro, il privato è riemerso come lo spazio dell’autorealizzazione del sé. Secondo me, chi vince, chi, alla fine, risulta essersi posto nella prospettiva migliore, è Alberto. In questo senso, il percorso di Alberto, da una passione politica e sentimentale a un impegno concreto, sostenuto dalla riscoperta della fede, è un percorso che si può leggere anche in una chiave atemporale, fuori dalla sua contestualizzazione, come una strada sempre aperta da percorrere. Alberto si fa vincere dall’amicizia con il sacerdote, figura dell’amicizia di Cristo. Monica è invece vincitrice sulla sua stessa debolezza amorosa: lei vince perché pone la rivoluzione sopra qualunque cosa, lei vince perché non si pente, vince la coerenza e l’alta moralità della sua figura. Due persone, due morali: una cristiana e l’altra rivoluzionaria. In questo senso, la morale rivoluzionaria anche è atemporale. Compare nelle medesime forme ogni volta che c’è o si tenta una rivoluzione. Sotto questo aspetto, ci sono affinità con il romanzo Il comunista di Guido Morselli. Un capolavoro, ma distante anni luce dai nostri anni di liberismo sfrenato. Tornando ad Alberto e Monica: alla fine (sembra) vince chi perde.

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