Passa ai contenuti principali

La nipote del diavolo - II, 1

Parte II: La Regina di Spade



1.

La porta di vetro della “Maison d’Épice” li proiettò in una nube di aromi preziosi: cannella, goji, zenzero e mille altri indefiniti riempirono Isabella e Raniero di visioni fantastiche. Sugli scaffali dell’atrio, in vasetti cristallini e recipienti di metallo lucido, riposavano le miscele di the e tisane, pregiati sali da cucina e spezie. Matilde, la matura titolare della sala da the, accolse Isabella con calore e invitò i due a scendere nel locale interrato. 

            La rampa di scale sfociava in un salottino con tavolini glitterati e una credenza di legno scuro. Una mensola reggeva un cuscino e qualche libro con illustrazioni vintage. Ciascuno dei tavolini era dotato di una candela. Le pareti lilla completavano l’atmosfera da casa di bambola al naturale.
«Dolce e fuori moda, come te» ammiccò Raniero a Isabella. Lei gli mostrò la lingua, ma, subito dopo, scoppiò in un riso lieve e disteso. Si accomodarono e Matilde offrì loro la carta delle consumazioni. Si persero letteralmente nella tesoreria di the, tisane e liquori che l’elenco dispiegava. Si decisero per due miscele a base di the verde, accompagnate dai pancake freschi di cottura. Fu tutto servito in tazze e teiere trasparenti che mandavano sempre Isabella in visibilio, per la somiglianza coi suoi giocattoli di bambina. Raniero la guardava accendersi nel suo sogno di Barbie, sorseggiando il liquido profumato con un benevolo sorriso. Da parte sua, la ragazza fissava l’amico e si stupiva di non aver mai notato, durante i corsi della Lotus, la bellezza morale che la sua figura dimessa sapeva sprigionare. Fino ad allora, non l’aveva visto che come il gregario del dottor Michele Ario, il vero dio terreno di quella ragazza emotiva e insicura di sé.
            «Ecco…» espirò infine Raniero. La mano di lui strisciò prudentemente attraverso il tavolino e sfiorò le dita di Isabella. «Vorrei chiederti un consiglio…»

[Continua]


Pubblicato su Uqbar Love, N. 182 (5 maggio 2016), p. 16.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...