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In taberna quando sumus


La mia testa si cullava in un caldo vapore rosso. Davanti a me, la tavola coi resti di un’ottima zuppa di ceci e le bocce di Bacco divino che andavano svuotandosi. La chitarra accarezzava gli orecchi miei e dei fratelli, seduti attorno a lui e a una sua amica, che si accompagnavano in un duetto godereccio e dolcissimo.
            Lui divenne un goliarda alla metà degli anni ’60; anche la donna era una nostra sorella. In una borsa, si era portato numerose copie dei propri tre libri, ormai difficili da reperire. Giornalista professionista, scrittore e blogger, si trovava a Pavia come membro della giuria di un premio letterario studentesco. Aveva prontamente avvisato del proprio arrivo anche noi goliardi locali, che abbiamo portato le nostre feluche nella sede della premiazione del concorso.
            Alcuni fratelli avevano prenotato un tavolo in un locale del centro, salvo poi scoprire che i posti non bastavano e che l’avara saletta era gremita per una festa di compleanno. A noi era stato destinato un angolo nel quale era impossibile perfino alzarsi liberamente dalle sedie. S’imponeva una ritirata strategica. Lui –da vero signore- ha sostenuto un battibecco con il gestore della taverna: «Non lo facciamo per cattiveria… Sarebbe una perdita, per Lei?» «No… Però… non si fa così!» (Dannate “questioni di principio”… Il Diavolo deve averle inventate quando non aveva niente di meglio da fare). Anche una cameriera ha fatto la spiritosa: «Beh, lasciatemi almeno passare…» (Come no, madamigella… C’incastoneremo nel muro per due minuti, nessun problema…).
            Vinta la Battaglia per la Lana Caprina, ci siamo diretti a un altro locale sul Naviglio, ancor più vicino alla facies delle osterie d’un tempo. Il menu comprendeva ottimi taglieri di salumi e formaggi. Per la delizia dell'amica di lui, era compreso lo speck d’oca. Da lì, è partito anche un abbozzo di conversazione circa le qualità del suddetto alimento: prelibatezza o surrogato del sempiterno maiale? «I Romani veneravano le oche, i Celti se le mangiavano…» Ho riconfermato la mia tendenza a tifare per Asterix.
            I ricordi del fratello fluivano a ruota libera: scazzi puntigliosi e che lui non ha mai potuto sopportare, fanfaroni puniti con debragationes interminabili… «Anche questa, di farsi pagare le informazioni…!» ci aveva detto, prima del cambio d’osteria. «Chi è appena entrato in Goliardia è un po’ come un figlio… Immaginate: “Papà, come si fa questa cosa?” “Beh, tu offrimi da bere, prima!”»
            Con o senza l’aiuto di Bacco, la chitarra ha richiesto la propria parte. I due amici conoscevano molte canzoni popolari piemontesi, la cui pronuncia da parte mia dev’essere stata semplicemente blasfema. Fra esse, una discendente delle “pastorelle” medioevali e la storia d’una massaia che s’augurava la cattura di “un bel pezzo d’uccello” (non solo per sfamare la famiglia). Lui, giustamente, si è tolto qualche sassolino dalla scarpa: «L'Alluvione NON è di Riccardo Marasco… L’ha rubata ai goliardi fiorentini. E non l’ha fatto solo lui… Tanti “cantautori da osteria” si sono accorti che la Goliardia è una miniera ricchissima… Una volta, ho sentito un tale dire: “Adesso, vi canto una mia creazione…” E ha intonato una canzone composta da me. Dico io, almeno non appropriarsene…».
            Senza troppo sforzo, la nostra tavolata ha attratto l’attenzione dei presenti e del gestore, invero piuttosto allietati. Uno di noi si è seduto con una compagnia vicina, per poi presentarcela. Tra i presenti, un giovanotto brasiliano col quale una nostra sorella ha intavolato uno scambio di battute in portoghese.
            Che importa, se fuori fa freddo? Che importa, se s'è fatto tardi? La serata è proseguita fino all’ora di chiusura del locale. Al momento di congedarci, il buon oste ci ha ringraziato vivamente. Ha anche invitato la sottoscritta a farsi rivedere in quei paraggi –cosa che farò sicuramente, quando non sarà più pressante il pensiero della tesi.
            Lui e l'amica sono ripartiti nella notte, lasciandoci una serata meravigliosa e libri pieni di ricordi. Ho ripensato a ciò che l’illustre fratello ci aveva detto ore prima: «Non avete idea di cosa io provi, quando vedo ragazzi con feluche e mantelli… La sensazione di far parte di qualcosa che continua…»

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