Passa ai contenuti principali

De tempore et otio - Lettere autentiche


 
“Pavia, sabato 12 ottobre 2013

Ti scrivo perché, forse, sei in grado di aiutarmi.
Io vivo, negli ultimi tempi, con la sensazione di non riuscire a fermare il passare dei giorni. Non nel senso che io voglia davvero fermare il tempo, no! Il punto è che tutto mi sembra scivolarmi via, senza che riesca ad osservare, a riflettere, a godere dell’autunno e dei suoi colori, a gustare ogni istante, anche quando sono con te. Guardo fuori dalla finestra, penso: ‘Che meraviglia, le foglie che cadono dagli alberi!’ Poi, è già sera, penso ai miei doveri e già mi vedo il giorno dopo in ufficio, e poi ancora tornato qui la sera, e ancora, e ancora. Così, settembre è finito, ottobre già mi sfugge, e io mi rattristo al pensiero che tale percezione del tempo mi porterà, come trascinato fino all’inverno e poi alla primavera, e poi all’estate, e all’autunno successivo, anch’esso già finito ancor prima che sia iniziato.
Che condanna, non riuscire più a ‘sentire’ le stagioni! Da bambino, da ragazzo, ogni giorno sembrava significativo, anche se la routine quotidiana era già una realtà. Cosa mi manca davvero, adesso? Forse, momenti di vero ‘ozio’? Dopotutto, Internet non può essere considerato tale. Già scrivere queste parole ha un effetto positivo, che riesco a percepire fisicamente. Certo, è paradossale: un’attività quale la scrittura (‘ozio’!) richiede un innesco; tutto l’opposto delle attività che mi permettono di ‘ingannare il tempo’. Anche su questa espressione, ingannare il tempo, dovremmo discutere: il tempo non va ingannato, semmai va raccolto. Sarà anche retorico a dirsi, ma credo sia più o meno così. Dunque, paradossalmente, ‘oziare’ richiede uno sforzo, anche se tale sforzo viene premiato. Il premio è esattamente il risveglio da quel vacuo torpore che rende insensibili alla vita e alle sue stagioni.

Pavia, domenica 13 ottobre 2013
 
            Oggi, ho deciso di uscire, per ‘sentire l’autunno’. Ho preso la bicicletta (sia benedetta!) e mi sono diretto verso il fiume, verso il borgo, e poi poco oltre. Ho portato la macchina fotografica e ho scattato tre foto, non malvagie, ma forse un tantino scure. D’altra parte, la giornata È scura, così tipicamente e meravigliosamente autunnale. Così pavese, oserei dire, ché questa città dà il meglio di sé con questo tempo, caricandosi di un’atmosfera triste, eppure, a tratti, dolce.
Sarebbe il caso che mi mettessi un po’ al lavoro, visto che devo preparare l’esposizione di venerdì e, durante la settimana, avrò altri impegni. In ogni caso, questi giorni mi hanno fatto riflettere sulla necessità di momenti da dedicare esclusivamente a me e a niente altro, momenti in cui metto da parte (completamente!) gli ‘impegni’, i ‘doveri’, e mi dedico a qualcosa che ho scelto io ed io solo. Tale sarebbe il vero ozio: raccogliere tempo per me. Diventa sempre più necessario, diventa addirittura vitale al fine di perseguire l’autenticità della vita, ora che sono concretamente giunto all’età adulta.

Pavia, lunedì 14 ottobre 2013, ore 17
 
Inutile cercare di chiamare a sé la concentrazione con insistenza e sforzo. Probabilmente, è molto più equilibrato e sensato staccare davvero, solo per un po’, ma totalmente. Pensare a tutt’altro. Ecco l’ ‘ozio’ auspicato, ciò che fa sì che le giornate non scivolino via nell’alienazione.
Qui fuori, osservavo stamattina, gli alberi sono ormai più gialli che verdi. Qualche giorno fa, ho notato che una pianta del cortiletto produce frutti appiccicosi e dall’odore vagamente selvatico. Chissà cosa sono. Prima, camminando sempre qui davanti, ripensavo alla libertà. Alcune persone limitano la propria libertà oltre misura, al punto che si ritrovano a difendere con le unghie e con i denti quei ristretti spazi di libertà che restano loro. Non credo che sia un atteggiamento sano.
Ieri (o l’altro ieri?), ragionavo più profondamente sulla parola ‘ozio’. Se è giusto che implichi una qualche forma di attività, ecco che nasce il problema: che tipo di attività? Cosa so fare io? So fare matematica (diciamo che sto imparando), scrivo degnamente. Poi? Poi basta, temo. Ecco, un’attività che mi riesce sempre e comunque bene è quella di pensare. Pensare, osservare, capire (in ordine di difficoltà). La scrittura, almeno, mi permette di raccogliere un po’ tali pensieri, o forse no, forse il suo ruolo è quello di indirizzarli, incanalarli, trattenerli nel momento stesso in cui si formano. Pensare, scrivere: tutto sommato, mi riesce (per quanto sinora si sia trattato perlopiù di luoghi comuni). Una domanda mi è sovvenuta, ora: che fare di questi scritti? Spedirli a te, o pubblicarli, o entrambe le cose? A te, mia cara, ho bisogno di dire anche altro. Ciò che scrivo qui ha un respiro un po’ diverso. Eppure, tu sei quella cui ho chiesto di custodirmi. In questo senso, ti spedivo lettere: perché tu le custodissi e, per questa ragione, non dovrei avere problemi a donarti anche questi pensieri.”

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...