Passa ai contenuti principali

Una biblioteca sempre aperta?

 Fra le cose che la pandemia ci ha tolto, è stata la biblioteca civica come piacevole e rilassante ambiente di ritrovo. Chini sulle pagine di un volume, o seduti sui divanetti della saletta multimediale… potevamo trattarla come un luogo pronto ad accoglierci gratuitamente. Da quando si è presentata la necessità di evitare assembramenti, tutto questo è stato interrotto e rimandato a data da destinarsi. Il servizio di prestito è divenuto su appuntamento; la biblioteca (per gli utenti) si è ridotta allo sportello affacciato sul portico, con le file di persone che attendevano di ritirare o restituire materiali. 

biblioteca manerbio

            Questo ha reso il servizio (oltre che più asettico) anche più lento, sia per i lettori che i bibliotecari. Ecco, dunque, che è spuntata la “biblioteca 7/24”, ovvero due box che è possibile utilizzare sette giorni alla settimana, ventiquattr’ore al giorno. Uno serve per la restituzione di libri e DVD: l’utente può infilarli in un’apposita fessura, dalla quale i materiali scivoleranno gradualmente fino a un fondo basculante che ne attutirà la caduta. I bibliotecari potranno poi ritirarli e registrarne la restituzione.

            L’altro “box” è costituito da una serie di cassette di sicurezza ed è destinato al ritiro. Entro ventiquattr’ore, l’utente potrà ritrovare in una di esse i libri o i DVD richiesti, aprendo lo sportello grazie a una combinazione fornita dal bibliotecario.

            Niente di particolarmente tecnologico o scintillante, ma sta funzionando. Le file davanti allo sportello non sono più visibili e il servizio procede più speditamente. Del resto, la semplicità è sempre una strategia vincente. Questo non ci consola dalla privazione di una vera biblioteca, né fa terminare la situazione distopica in cui ci troviamo. Ma chi ben risolve (almeno, sullo spiccio piano pratico) è a metà dell’opera.

 Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 163 (marzo 2021), p. 4.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...