Si aprirono allora gli occhi di tutt'e due e s'avvidero che erano nudi; quindi cucite insieme delle foglie di fico, se ne fecero delle cinture." (Gn 3,7)
Nelle cosiddette conversazioni "da bar", mi è capitato sovente d'incontrare facile disprezzo verso psicologia, psicanalisi e counseling. Alcuni di questi sfoghi erano dovuti a una pessima idea di taluni: cercare occasioni di lavoro in circoli che trattavano tematiche di affettività e identità personale... senza tener conto del fatto che erano associazioni di promozione sociale senza un soldo e campavano di volontariato. Una caduta di stile, non c'è che dire. Ma nient'altro.
La scusa che va per la maggiore è che queste discipline non sarebbero "scientifiche". Perdonatemi: è una spiegazione risibile. I fenomeni della psiche umana (ancorché indagabili con strumenti come la magnetoencefalografia e il neuroimaging) non sono attualmente riducibili a formule fisse e universali. E va benissimo così. È una caratteristica che distingue il soggetto dall'oggetto; che ci rende perlopiù troppo complessi per essere manipolati come uno strumento o ammaestrati come bestioline. Certo, i fenomeni di plagio mentale possono aver luogo. E i più abili (nonché i più temuti in merito) sono proprio coloro che hanno competenze di psicoterapeuta o counselor. Ma, a questo punto, dovremmo temere anche tutti i nostri familiari, amici, partner: persone che hanno assai più influenza e peso sulla nostra vita di qualsiasi figura di "psicoadvisor". Che spesso, anzi, ci controllano e condizionano senza neanche saperlo. E dovremmo condannare anche insegnanti, scrittori, registi... tutti coloro che padroneggiano la "magia" di entrare nella nostra testa e/o creare immaginario. Per non parlare di figure scientifiche divenute icone grazie alla creazione del proprio personaggio (ogni riferimento è puramente casuale, caro Piero Angela). Anche loro "ci condizionano parlando bene e colpendo la nostra mente".
L'unica motivazione coerente che potrebbe spiegare la "psicofobia" è il compito stesso di tutti coloro che si occupano di comprendere le persone e far sviluppare le loro potenzialità: entrare in quei cassetti della nostra vita e della nostra persona che abbiamo tenuto gelosamente chiusi fino a quel momento. Insomma, debbono "vederci nudi". Anche e soprattutto là dove noi non ci piacciamo. Un brutto colpo, per il Narcisetto che ancora sopravvive in noi. Dobbiamo dare a loro (e a noi stessi) finanche la possibilità di sbagliare e imparare dall'errore: fino a perdere la convinzione di essere modelli di "normalità" e "rispettabilità". Dobbiamo accettare che una parte di noi sia legittimamente rimasta "bambina" e desideri l'appoggio di una figura affascinante, o s'interessi di cose non razionali, né immediatamente redditizie.
Aver rotto l'illusione della "normalità", della "rispettabilità" e della "ragionevolezza" costò caro allo stesso Sigmund Freud. Ma è stato lui, con la sua rivoluzione culturale, a vincere. Perché chi non osa vedersi nudo non trova la felicità. E tantomeno la saggezza.
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