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Comicon: un giullare per raccontare i grandi classici
È probabile
che i giullari medievali siano i padri remoti della letteratura in lingua
italiana. Questa è la teoria con cui Pier Paolo Pederzini, detto il RimAttore,
ha aperto la serata intitolata “Comicon: un giullare racconta i classici”. Essa
si è tenuta al Teatro Civico “M. Bortolozzi” di Manerbio il 20 aprile 2018. Era
inserita nei “7 Giorni di Poesia”, organizzati dalla Biblioteca Civica. La
locandina recava i loghi del Comune, dell’Associazione Amici della Biblioteca
di Manerbio e dell’I.I.S. “B. Pascal”.
Il legame fra giullari e letteratura
italiana è dato dall’uso del volgare, in luogo del latino. I loro erano
spettacoli di piazza, basati quindi sullo stretto contatto col pubblico.
“Comicon” sarebbe stata, appunto, l’abbreviazione di “COMicità di CONtatto” -
oltre che un’allusione al “Decameron”.
Pederzini
è noto ai manerbiesi per via degli ultimi due Carnevali, che ha contribuito non
poco ad animare. Il 20 aprile, ha spiegato anche le ragioni del suo abito da
frate girovago: la tonaca rappresentava un grande potere e permetteva ai
giullari di deridere impunemente i vizi dei potenti.
Si richiedeva loro anche la capacità
di attirare l’attenzione dei passanti, perlopiù con giochi di prestigio e
abilità. Quelli di Pederzini hanno mostrato il potere della memoria. È stato in
grado di recitare i versi del primo canto dell’”Inferno” dantesco, associati
ciascuno a un numero proposto a caso da membri del pubblico. Il segreto delle
sue mnemotecniche? Puntare sull’immaginazione e sulle sensazioni. Pederzini ha
mostrato come si possa memorizzare una lista della spesa pensando alla
consistenza di ogni alimento su parti del proprio corpo; o una lista di parole
concettualmente scollegate, trasformandole in immagini concatenate.
Da buon giullare, il RimAttore ha
poi satireggiato la vita coniugale dei presenti, raccontata in rime fra parole
scelte a caso. Ha improvvisato canzonette su argomenti proposti dal pubblico:
il “pop”, l’ “ausiliare”, i “Carabinieri”, il “banale”, il “reggaeton”, la
“ciabatta”, il “borsello”…Legata
alla dimensione popolare e musicale è la “chanson de geste”, il genere nato
dalla rotta di Roncisvalle: nel 778, la retroguardia dell’esercito di Carlo
Magno fu sterminata, mentre attraversava (appunto) il passo di Roncisvalle sui
Pirenei. Ma proprio questo diede inizio alla leggenda dei paladini di Francia,
che ispirò anche monumenti letterari come l’ “Orlando Furioso” di L. Ariosto.
Nel veicolare questa storia, i cantori di piazza funsero un poco da “giornali”,
come facevano di solito, secondo Pederzini. L’amore, l’odio, le guerre fra
cristiani e musulmani dovevano sembrare ghiotti a chi cercava emozioni forti.
Soprattutto, però, le esibizioni giullaresche giocavano con le allusioni
sessuali e il coinvolgimento del pubblico. Il RimAttore ne ha dato
dimostrazione pratica, chiamando tre spettatori a impersonare il musulmano
Sacripante, il cristiano Rinaldo e la seduttrice Angelica, fra loro contesa.
Pederzini li ha introdotti col “flauto a tamburo”: un legno da suonare con una
mano sola, lasciando l’altra libera per il tamburello. La disputa si è conclusa
con la scelta della donzella, che ha preso per marito Sacripante, ma con una
riserva: “Se non mi riesci a soddisfare,/mollo tutto… e scappo col giullare!”
Non poteva mancare un monumento di
letteratura in lingua volgare: la “Divina Commedia” di Dante. Pederzini ha
proposto una versione quotidiana dell’Inferno, con mariti golosi, mogli
iraconde… e politici lussuriosi, tanto per cambiare. Pare che i giullari siano
destinati a non restar mai senza lavoro.
Ciao Erica, ci accomuna l'amore per i classici e per il teatro. M'iscrivo al tuo blog, spero tu sia interessata a Pennadoro, uno spazio dove inserisco recensioni, interviste ed eventi. E' straordinario lo spettacolo illustrato in questo post. Sarà un vero piacere non solo seguirti, ma averti tra i blog e siti preferiti sulla mia home page!
Si avvisano i gentili lettori che (come è ovvio) non verranno approvati commenti scurrili, offese dirette, incitazioni all'odio di qualunque tipo, messaggi che violino la privacy o ledano l'onore di terzi. Si prega di considerare questo blog come uno spazio di confronto, così come è stato fatto finora, e non come uno "sfogatoio". Ci scusiamo per eventuali ritardi nella pubblicazione dei commenti: cause (tecnologiche) di forza maggiore. Grazie.
Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...
Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere. Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...
All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza. Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...
Ciao Erica, ci accomuna l'amore per i classici e per il teatro.
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Grazie mille per l'interesse, Tania! :D Mi iscriverò presto.
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