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Pire e fiumi sacri

La prof.ssa Margherita Sommese, il 20 aprile 2017, ha portato alla Libera Università di Manerbio un soffio d’Oriente. Al Teatro Civico “M. Bortolozzi”, ha parlato di: “Pire e fiumi sacri. Riti di purificazione in India”. Per far entrare rapidamente l’uditorio nello spirito giusto, è stato proiettato uno spezzone di “Viaggio in India” (2006; regia di Mohsen Makhmalbaf). La scena riguardava le cremazioni dei defunti, riassumendo così una serie di tematiche: il fuoco come purificatore, l’interminabile ciclo delle rinascite, le differenze di casta e di censo (visibili finanche nella quantità di legna posta sui roghi). 
Il Ganga Aarti
            Nella religiosità indiana, il fuoco e l’acqua sono entrambi purificatori. Anche l’anima non può trovare pace, se il corpo non è stato interamente cremato. Il fuoco è energia che trasforma la materia ed è messaggero fra il cielo e la terra. Il suo culto è centrale nei Veda, le scritture sacre dell’Induismo. Questa religione, comunemente considerata politeista, è in realtà un monoteismo in cui il divino viene chiamato con molti nomi. Non è un sistema dottrinale e dogmatico, ma un modo di vivere, un’ortoprassi fondata sulla ricerca diretta della realtà. L’Induismo non fa proselitismo e riconosce valide tutte le vie di ricerca della verità (Cristianesimo incluso). Detta “verità” coincide col “Dharma”, termine sanscrito per indicare l’ordine cosmico (l’insieme delle leggi fisiche, biologiche ed etiche che rendono possibile la vita). Il più famoso “Karma”, invece, è una teoria per cui il destino di ciascuno è nelle sue stesse mani: l’uomo è il risultato delle proprie azioni passate e semina il proprio futuro attraverso quelle presenti. Il fine ultimo dell’esistenza è il “Moksha”: l’uscita dal “Samsara” (= ciclo delle rinascite) e l’unione dell’anima col divino. Il famoso “OM” è la sillaba sacra: il suono primordiale, dal quale sarebbero nati gli altri suoni e il linguaggio. È un simbolo e una manifestazione dell’assoluto, presente in ogni cosa. I templi induisti sono luoghi d’incontro, dove si esercitano anche forme di condivisione e beneficenza (dar da mangiare ai poveri…).
            Il fuoco (in sanscrito “Aghni”) è ciò che accoglie gli ospiti e scaccia l’oscurità. È anche la luce, che arriva nella meditazione e che, dopo esser discesa, accende dal basso il fuoco della “Kundalini” (= energia presente nell’uomo in quiescenza, residente alla base della colonna vertebrale). Non stupisce dunque il fatto che un rito ricorrente nell’Induismo sia l’Arati, o Aarti: l’esposizione della statua di una divinità o una persona all’influsso benefico del fuoco. Il più solenne è il Ganga Aarti, celebrato al tramonto, con bracieri, sulle rive del Gange, nelle città sacre di Varanasi, Haridwar e Rishikesh. Il Gange è infatti manifestazione della Dea Madre Ganga: da cui l’importanza della balneazione nelle sue acque (resa innocua dai possenti anticorpi degli indiani).

           
Prof.ssa Margherita Sommese
Fondamentali sono anche gli “Antyeshti”, i riti funebri: delicati passaggi che devono garantire la liberazione dell’anima, la sua unione con Dio e l’ingresso del defunto fra gli antenati della famiglia. La trascuratezza rituale può trasformare l’anima in uno spirito maligno (perché senza pace). Anche qui, abbiamo detto, è protagonista il fuoco: non solo per l’indispensabile cremazione, ma anche per la presenza di una lucerna accanto al volto del moribondo. L’acqua serve sia per lavare le salme che per purificare coloro che hanno officiato il funerale; le acque dei fiumi o dei mari accolgono le ceneri dei defunti.

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