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Il mondo sommerso

Non solo finalità commerciali o belliche, ma la stessa natura curiosa dell’uomo lo spinge al limite. Così il dott. Andrea Soffiantini, istruttore di sub e apnea, ha spiegato il desiderio di esplorare gli abissi. L’ha dichiarato davanti alla Libera Università di Manerbio, il 16 marzo 2017, alla fine della conferenza tenuta al Teatro Civico “M. Bortolozzi”: “Acqua - Il mondo sommerso”. 

            La prima parte ha elencato i piani in cui l’uomo ha suddiviso questo mondo sommerso, a seconda del grado in cui la luce solare li raggiunge. Si distinguono: il piano sopralitorale (al di sopra della superficie marina), mesolitorale (fino a 20 m. di profondità), infralitorale (20-100 m), circalitorale (100-200 m), batiale (200-600 m), abissale (2000-6000 m). A questi piani, corrispondono le zone: epipelagica (piano infralitorale), mesopelagica (circalitorale), infrapelagica (batiale), batipelagica (fra piano batiale e piano abissale), abissopelagica (piano abissale), adopelagica e bentonica (oltre il piano abissale). (Per rielaborare gli appunti della lezione riguardo a tale terminologia, è stato ampiamente impiegato il testo: E. Nicoletti, P. Peretti, G. Somaschi, “Ambiente”, Padova 2000, CEDAM). Ai piani mesolitorale, infralitorale e circalitorale, la luce del sole giunge e rende possibile la fotosintesi - quindi, la vita vegetale. Nella zona epipelagica, possono vivere pesci in grandi banchi, o di grandi dimensioni (come i tonni). Nella zona batipelagica, esistono creature che hanno sviluppato organi fotofori, in grado di produrre luce di per sé. Questa capacità è impiegata al massimo dagli abitanti delle zone batipelagica e abissopelagica. Più si scende in profondità, più s’incontrano organismi primitivi, dall’aspetto “mostruoso”. Vi sono i calamari giganti. Di essi, si nutrono i capodogli. Le fauci smisurate sono una caratteristica degli esseri abissali (rana pescatrice abissale, anguilla-pellicano): disponendo di scarse prede, i loro rari pasti debbono essere abbondanti. La grande varietà di vita riguarda anche il piano adale (oltre i 6000 m), dove creature come i crostacei si nutrono direttamente delle sostanze eruttate dai camini vulcanici.

            Il desiderio di esplorare il mondo sommerso è antico. Rilievi assiri del IX sec. a.C. mostrano l’uso di otri per permettere ai soldati di passare sott’acqua inosservati. Un sistema altamente inefficiente, che fu migliorato dalla campana-sommergibile di Leonardo da Vinci. Del 1797 è la prima muta da palombaro; nel 1829, fu ideato un casco in grado di prelevare aria dalla superficie. Del 1865 è l’aeroforo, citato anche da “Ventimila leghe sotto i mari” di J. Verne. Per i minatori, venne inventato il “rebreather”, un “riciclatore” dell’aria respirata (1876). 
Rimaneva però la “malattia da aria compressa”, poi “da decompressione”. Minatori e palombari che riemergevano accusavano infatti malori più o meno gravi. Ciò era dovuto ai gas che passavano nel sangue e nei tessuti, a causa dell’alta pressione. Al ritorno in superficie, le bolle gassose si liberavano. Il segreto per evitarlo consiste nel riemergere lentamente, come scoprirono gli studi di J.S. Haldane (1860-1936). Del 1933 è invece l’invenzione delle pinne di Corlieu, per eliminare parte dell’attrito nel nuoto subacqueo. Nel 1943, il primo batiscafo permise immersioni a grande profondità, adatte a scopi scientifici. Storico è il Batiscafo Trieste (1960). Del 2012 è l’impresa solitaria di James Cameron: il regista di  “Titanic” e “Avatar” si è infatti immerso nella fossa delle Marianne a bordo del “Deepsea Challenger”.

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