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Le rose della notte - II, 4

 Parte II: Il cielo in fiamme



4.

«Il barone Fanfulla da Lodi,/ cavaliere di gran rinomanza,/ fu condotto una sera in istanza/ da una donna di facili amor…»
            La voce di Sanguinella, la Custode dei Canti, si levava spavalda in Strada Nuova, trascinando il coro del SOPA (*). I manti porporini delle ragazze fluttuavano al ritmo delle loro scarpe, che ticchettavano sul pavé. Una sopportazione da stoiche, per i loro piedi.
 La matricola, Bradamante in Fiera, reggeva al collo un coloratissimo cartello a pennarelli: “1 Abbraccio: 1 €. 1 Gufata: Gratis”. 

            Le “gufate” erano bigliettini accuratamente scritti a mano, ripiegati e contenuti nel sacchetto che Lucia Monella offriva agli eventuali passanti, poco vogliosi di contribuire alla Goliardia cittadina, ma curiosi della propria stessa sfortuna. A loro, poteva capitare un “Finirai la carta igienica dopo un’indigestione di puré”, un “Ti arriverà una Strillettera da parte di Voldemort” o altre chicche tra il fantasioso e il coprofilo. I più generosi, dopo l’euro di rito, affrontavano il contatto fisico con la buona Kiko-san. Né era impresa troppo spiacevole, a dire il vero. Di sicuro, si sentivano ben ripagati della propria liberalità.
            Un motorino sfrecciò vicinissimo alle goliarde. Portava un paio ragazzetti, coi caschi slacciati, che apostrofarono le studentesse con uno strillo inintelligibile. «Oh, un cervello in due!» esclamò Lobelia DeMona, con deliziosa perfidia. «Non l’avevo mai visto, prima d’ora!»
            Arrivarono in vista del Caffè Teatro. Ondate di musica pop le lambivano dalla sua porta. Davanti all’ingresso, qualcuno sostava ai tavolini, magari fumando. Altri chiacchieravano in piedi, o sedevano sul marciapiede davanti al Teatro Fraschini. Arianna I si diresse decisamente verso il locale. «Questueremo anche lì… e chi ha sete, o deve andare al bagno, potrà fare una pausa».
            Bradamante in Fiera tese la propria brava feluca bianca, in cui si accumulavano le monete. Qualcuno rimase a guardare; altri vollero il bigliettino menagramo; altri ancora offrirono l’euro – o più – ma rinunciando al “premio” con una scusa.
            Arianna I e Lobelia DeMona si avvicinarono al bancone e chiesero un paio di birre ad Arnaldo. Gettando un’occhiata alla saletta accanto, la videro piena di gente. Al microfono, come sempre, c’era Greta Sgarbo, che inaugurava un nuovissimo boa di piume blu elettrico.
            «Ah, ci sono le drag queen!» esclamò Lobelia. «Allora, potremo salutare anche la nostra Confidenza».
            “Confidenza” era un HC, un titolo Honoris Causa conferito dal SOPA a Rita Gayworth, ovvero Guido Raina. La goliarda allungò il collo, ma non poté vedere la sua sontuosa parrucca di onde rosse.
            «Ciao, Arianna I! Ciao, Lobelia!»
La voce era arrivata alle loro spalle.
«Ciao… Rita?!»
Alle due, ci volle un poco, prima di riconoscere – in quel ragazzo basso e minuto – la slanciata drag di una volta. Senza trucco, chiome finte e abito da sera, era un’altra persona.
«Non sono in servizio, stasera» spiegò lui, con tono gentile e ironico. «Voi come state?»
            «Ma sì… bene» fece la capo-ordine, con una scrollata di spalle. «Siamo in giro a questuare. Se vorrai contribuire, fuori troverai Bradamante in Fiera che raccoglie i soldi».
«Anche noi chiediamo un euro per Arcigay» le ammonì Guido. «Badate di non farci troppa concorrenza…» Le minacciò scherzosamente con un dito.
            «Ehh, ce ne andiamo, ce ne andiamo…» lo rimbeccò Arianna I. «E tu, Confidenza, non prenderti troppe… confidenze». Ridendo, l’HC le salutò e si tuffò nella saletta.

(*) A Pavia, esiste realmente una tradizione goliardica. Ma questo Ordine è rigorosamente inventato, come gli altri che compaiono nella storia.



[Continua]

Pubblicato sul quotidiano on line Uqbar Love (7 gennaio 2017).

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