Passa ai contenuti principali

Nello scrigno della creazione

Ha un profumo raffinato e greve, all’ingresso, il laboratorio di Gian Maria Donini. Insieme alla fragranza per l’ambiente, anche l’arredamento dell’anticamera parla di una persona fantasiosa e creativa - in particolar modo, i dipinti riferiti all’India. 
Donini ha imparato da autodidatta a lavorare i metalli. Si definisce “orafo-artefice”, come informa la voce a lui dedicata nel “Dizionario del gioiello italiano del XIX e XX secolo”, a cura di Lia Lenti e Maria Cristina Bergesio (edito da Umberto Allemandi & C.). “Ideare, disegnare e realizzare gioielli è la sua ragione di vita, perché è così che Gian Maria Donini comunica con il mondo”, informa la stessa fonte. Il suo laboratorio è colmo di riproduzioni di gioielli antichi e di lussureggianti, immaginose creazioni, ispirate alla natura e alle fiabe. L’orafo si ispira anche a Fulco di Verdura (1899 - 1978), noto per l’amicizia con Coco Chanel e per la collaborazione alle scenografie de “Il Gattopardo” di L. Visconti.
L' "uovo cosmico"
            Il pezzo più curioso è un uovo di struzzo con decorazioni in argento. La materia prima fu donata da un eccentrico e facoltoso russo, che avrebbe voluto rievocare la tradizione delle uova Fabergé - facendo riempire il guscio di figurine metalliche ispirate al Kamasutra. Donini rinunciò all’impresa, forse anche per non snaturare un tratto della sensibilità indiana. Una nuova (e più gloriosa) destinazione fu suggerita per l’uovo da Ornella Casazza: il Museo degli Argenti di Palazzo Pitti a Firenze, che lei diresse dal 2004 al 2010. Sarà invece destinato a un collezionista manerbiese. A Palazzo Pitti, del resto, è già custodito un anello di Donini, intitolato “Alchemico piacere” (2005).
            La base dell’uovo raffigura donne-pesce, rappresentanti l’umanità primordiale. Le gemme colorate sono gli attaccamenti e l’ignoranza che distolgono l’uomo dall’originaria capacità di amare. Sulla cima dell’uovo, un uomo regge una donna morente. Lui volge lo sguardo oltre il Tutto, per cercare una possibilità di redenzione. I capelli di lei rispondono, ricreando il mondo e facendo ricominciare la vita.
Orecchino con la raffigurazione di Eva.
            I committenti di Donini, oltre a collezionisti privati e a musei, sono archeologi e rievocatori. La figura della donna-pesce ricorre nella sua produzione, come nei bassorilievi delle chiese romaniche. Ha raffigurato anche la biblica Eva, in un paio d’orecchini dalla storia commovente: il suo nipotino lo “sfidò” a trarre capolavori da un’umile conchiglia bivalve, per provare che “a fare un gioiello, basta il desiderio di creare”. 
            Un anello con turchese persiano e diamanti raffigura invece il principe-rospo che si contempla stupito nell’acqua, dopo la trasformazione in anfibio: un omaggio quasi ovidiano al tema della metamorfosi. Per il concorso “Il preziosismo pittorico di Gustav Klimt”, organizzato dall’Università e Nobil Collegio degli Orefici Gioiellieri Argentieri dell'Alma Città di Roma (2013), Donini ha ideato un anello con una “moonstone brown”. La caratteristica di questa pietra è un gatteggiamento, un riflesso luminoso che sembra una fenditura. Perciò, la “moonstone brown” , in passato, fu demonizzata, in quanto simile ai genitali femminili (causa di lussuria!). Insieme ai rubini (= passione e radicamento nella materia), vuol significare la sessualità inibita di Klimt.
           
L'anello del Principe Ranocchio.
Una perla australiana (una “barocca”) orna invece l’anello “Enigma”, terzo classificato al Tahitian Pearl Trophy (2005-2006). Nel 2000, insieme al Museo per l’Oreficeria Contemporanea di Sartirana Lomellina (PV), Donini aveva partecipato a una mostra itinerante fra Museo del Bardo (Tunisi), Museo del Cairo e Museo di Cipro.
            Gli impegni internazionali, però, non l’hanno distolto dal riprodurre gioielli celtici, tipici dell’area bresciana. E monili romani, e japodici - dalla cultura japodica della Croazia, affine a quella picena. Ciascuna creazione nasce da un modello in cera. E ognuna di esse - si può dire - è una storia d’amore.


Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 105, febbraio 2016, p. 8.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...