Nella
mia solitudine domestica, ritorna l’immagine del tuo capo chino, delle tue
ciglia calate sulle tue confessioni spontanee. Riecheggiava, nelle tue parole, Amleto: I am myself indifferent honest; but yet I could accuse me of such
things that it were better my mother had not borne me. Ti sentivo
elencare le tue ire, le tue bizze, le tue intemperanze. Davo ragione a ciascuna
delle tue osservazioni. E benedicevo la vita per la tua esistenza.
Mi venne in mente, allora, il
paradosso intrinseco in ogni Amen,
nel sentimento stesso del Creatore al settimo giorno. Non si può amare una
perfezione, perché l’amore è rivolto a un’individualità e l’individualità è
definita dai difetti, dalle deviazioni rispetto a un modello condiviso.
Qualcuno ha descritto il
Cristianesimo come una religione molto imperfetta. Io lo direi,
piuttosto, la religione degli imperfetti. Non ha il nitido equilibrio
del Buddhismo, né la veneranda età dei Veda, né la sensibilità molteplice
dell’animismo. Cristo scelse i suoi tra rozzi pescatori, loschi figuri,
indemoniate, schietti scettici. I pubblicani e le prostitute, nel Suo regno,
passavano avanti a chiunque. Cantò l’amore per la pecora smarrita e per il
figliol prodigo, senza lasciare incustoditi i novantanove giusti. Non
ebbe parole di condanna che per i perfetti,
appunto, coloro che avevano già avuto la
loro ricompensa e, quindi, non accettavano alcuno stimolo a svilupparsi
ulteriormente. Il Cristianesimo fu, fin dall’inizio, la religione degli sbagliati.
Ecco perché ci troviamo entrambi
bene nel suo ovile, nonostante la tua lotta con Dio e la mia lotta col Suo fan club. Ecco perché la confessione in
cui entrambi siamo cresciuti si sforza di creare un orizzonte di nitore, rigore
e purezza. Entrambi ci siamo allontanati –sia pure in modi e per motivi molto diversi – dalle pretese di
precetti imbalsamati, così diversi dalla sanguigna e proteiforme Vita che
amiamo. Solo ora cominciamo a intuire che essi dovrebbero essere considerati
come il cielo a cui tende l’arciere: un obiettivo irraggiungibile, ma a cui
guardare per prender la mira.
Ci sono stati dati modelli troppo
lontani da noi perché ci rendessimo conto del nostro costante bisogno di
correzione. Mi vien da sorridere, pensando che io e te siamo come quegli asini
cui vien legata una carota davanti agli occhi perché avanzino con costanza. È
un paragone meno sublime di quello con Tantalo, ma più solare –e, soprattutto,
più adeguato.
Vorrei che ci fossero restituite le
sembianze degli apostoli e delle pie donne, ormai presenti solo come ombre
dolciastre di sacrestia. Rimpiango quei volti pasoliniani che non ho mai
conosciuto. Di volto ho solo il tuo, ispido e voluttuoso come quello di un
fauno. Non cercare un angelo nel tuo specchio. Solo entrando fino in fondo nel
ritratto goffo della nostra anima –come insegna La Storia Infinita – arriveremo a eliminare quel senso di colpa che
è figlio dell’amor proprio e a essere
come bambini. Allora, il nostro passo sarà senza attrito.
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