Il passo lungo di Lui mi
affianca, assieme alle sue parole. «Tu non sei una locomotiva stanca» medita, riprendendo una mia affermazione. «Anzi…
in questi ultimi tempi, hai accelerato. E io… restavo indietro a guardare».
Rimastico.
Sì: ho accelerato. Sono corsa incontro a nuovi interessi, nuove compagnie,
nuove esperienze, nuove estetiche – a una vita
nuova- senza aspettarlo. A un punto tale da non saper più chi fosse Lui –e chi fossi io. Offesa indicibile o
ineluttabilità? Comunque, era scritto nel mio carattere. Se devo errare, erro
più per eccesso che per difetto, per avventatezza più che per paura. Anzi, ho
una sotterranea fobia della prudenza. La virtù dei morti che seppelliscono i
propri morti, mi dico. In un certo senso, quel che ho di prudenza è tutto
alienato in questo angelo ossuto e dimesso, la cui unica –fondamentale-
temerarietà è stata quella di voler cavalcare una puledra pazza. Io e Lui ricordiamo l’immagine della vergine
con l’unicorno –ma invertita.
In un certo
senso, anche Lui ha peccato:
d’inerzia. Si è beato nel vortice della sua ragazza
di fuoco, finché lei non gli è sfuggita di mano. Anche se io –la ragazza di fuoco- non so perdonarmi per
aver agito secondo il mio essere. Non so perdonarmi per aver quasi perso di
vista il tesoro di sogni, affetti e progetti che è tutto qui, racchiuso in
questo suo lungo passo.
«Ora, non
resterò più a guardare. Se lo riterrò necessario, mi opporrò, ti fermerò.
Perché tu tendi a farti male» mormora. «Era ora!» rispondo io. E non so se sia
sollievo o sfida. Avverto nella sua voce un velo di slancio e mi piace. Da
tempo, nell’amore non cerco più il porto, ma il vento.
Questo
dialogo ha il sapore d’una ri-partenza. I dissidi fra me e Lui, scoppiati in una catarsi acuta, hanno fatto posto a una mia
nuova pelle. Lui ci metterà più
tempo. Lui è lento come le montagne.
Siamo una
coppia paradossale e honni soit qui mal y
pense. Come tutti i ragazzi che si amano –direbbe J. Prévert- non ci siamo
per nessuno.
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