È l’01:15
circa. Io e F. stiamo tornando da una delle rare serate after midnight che ci concediamo. La vita notturna continua alle
nostre spalle, già un po’ languida. Poi, dal vano di un portone, urla e
singhiozzi: «Aiutatemi!» È una ragazza, raggomitolata in un angolo. A voce
quasi altrettanto alta, le risponde un giovanotto: «Ma che dici, amo’? Ma che
t’ho fatto…?»
Mi fermo. F. mi strattona per la
manica. Non gli dò retta. Tutto sommato, la scena sembra essere una lite di
coppia sfuggita di mano. Lei, però, continua a piangere e a chiamare i
passanti. Lui non demorde. Qualcun altro si è fermato.
F. gioca un’altra carta: «Chiamiamo
qualcuno…» Confermo: «Bene. Tu sta’ qui e chiama». E mi avvio verso la coppia.
Mi rivolgo a lui. «Scusi, detesto
intromettermi nelle faccende personali… ma, per stasera, è finita così. Meglio
se ne riparlate domani. Signorina…» faccio a lei «…si sente male? Abita qui?»
Fa cenno di no. Il giovanotto ha l’aria di non capire in che galassia si trovi.
Davanti alla fidanzata in crisi, nicchia, ribadendo che non è successo niente. Poco dopo, mi faccio mostrare quel famoso
orecchio. È rosso fuoco.
All’avvicinarsi di F. e degli altri
passanti, lui si allontana, ma non se ne va. (Anche perché ha l’auto nei
pressi, dice lei). La ragazza non è del posto e non può chiamare a casa, perché
l’altro le ha sottratto il cellulare. «L’ho pregato di smettere di bere, perché
doveva guidare… Abbiamo litigato, mi ha strattonato per un orecchio… Volevo
telefonare a mia mamma, farmi venire a prendere… Allora, mi ha tolto il
cellulare di mano…»
F. ritorna all’idea di “chiamare le
autorità” e, stavolta, pare il caso di dargli ascolto. Giusto perché riportino
la ragazza a casa. Compongo il numero della polizia. «Salve… Chiamo da via ***,
n° x…» Spiego. Mi passano i
carabinieri. Ripeto tutto quanto; lascio nominativi e numero di cellulare.
Mentre aspettiamo, due ragazze
confortano lei. Ci sono anche alcuni ragazzi. Dopo un po’, si riavvicina il
“fidanzato”. «Amo’, ma guarda che combini… Dài, è ubriaca…» [N.d.R.: la ragazza
si reggeva benissimo in piedi e, lacrime a parte, era lucidissima] Più che
rimorso, una leggera scocciatura. E una certa fifa da “colto-in-flagrante”,
forse. Uno dei ragazzi si fa avanti con lui: «Senti, posso parlarti?» Non sto
ad ascoltare la ramanzina. Fa sempre più freddo.
Una delle
“soccorritrici” si fa restituire il telefonino di lei. Poco dopo, la coppia ha
un altro abboccamento. Lei rinfaccia a lui i suoi sgarbi e le sue maniere
manesche. Da parte dell’altro, solita commedia dello gnorri.
I carabinieri arrivano, infine.
«Siete voi che avete chiamato?» Confermiamo. Domandano, mettono a verbale. Noi
presenti ci scambiamo occhiate. Decidiamo che, ora, tocca ad altri e ci
congediamo, non senza calorosi abbracci alla ragazza. «Tutto quello che hai
raccontato a me, dillo anche a loro» le raccomanda una delle “confidenti”.
«Attenta: quando qualcuno alza le mani, lo farà sempre!» ammonisce un altro.
Parole familiari, se non per il fatto che, stavolta, vengono da una bocca
maschile.
Io
abbraccio forte F. La determinazione ha lasciato spazio a una stretta allo
stomaco. Non è stato niente d’ingestibile, mi ripeto. Riecheggiano in me tanti discorsi passati,
femministi o misogini che siano. Mi fissano in sottofondo, contemporaneamente
esangui e scottanti. Come le vaghe fantasie d’anarchia e i pensieri sul
consorzio umano –d’un tratto, così amabile e leggero sulle spalle.
Brutta esperienza, soprattutto per la ragazza.
RispondiEliminaUn giorno, scese la scale di casa, ho visto una ragazza (mi dissero straniera, ma non importa), sdraiata a terra. Era stata scaraventata fuori da un'auto in corsa, in pieno giorno.
Siamo stati lì, un gruppetto di passanti, ad accudirla in attesa dell'ambulanza. E mi sono chiesta, nel frattempo, se scaraventare una donna fuori da un'auto in corsa.... fosse un gesto umano o alieno.
Se è umano, non faccio parte di questa umanità.
Un abbraccio cara Erica.
La nostra situazione, almeno, non era così truculenta... Ricambio l'abbraccio.
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