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L'equivoco


Un errore che commette spesso il nostro individualismo è quello di confondere sottomissione e dedizione.
La sottomissione è la condizione di chi obbedisce alla volontà d’un altro perché questi, momentaneamente o meno, possiede una forma di forza: quella dei muscoli, del denaro, dell’opinione pubblica, delle cariche, delle leggi, della cultura, dei legami familiari, delle armi, della reputazione.
La dedizione è la condizione di chi cerca di realizzare la volontà e i desideri d’un altro senza che nessuno glielo chieda: per voluptas diligendi, amore d’amare. Perché quell’ “altro” (singolo o collettivo, concreto o ideale) riempie la vita in modo potente, è una trasfusione salutare nelle vene dell’animo. Cosicché non ha neppure troppo senso distinguere volontà e desideri di chi si dedica da quelli della persona a cui si dedica. Ci sono anche momenti in cui il “dedito” si abnega (è naturale); ma questa abnegazione lo fa sentire ancor più realizzato, come un gran prezzo speso per una perla unica. Potrebbero esserci mille forze in mano all’ “altro”, o non essercene nessuna: per il “dedito”, nulla cambierebbe.
            La dedizione non può esser comandata, né esser la base per una concordia civile, perché non è cosa da tutti. È dote dei “grandi”. Se la sottomissione può conservare la vita, la dedizione la ridona decuplicata. È sempre e comunque letale.
 
 

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