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InterviStorie - Intervista con Renato Minutolo

Renato Minutolo è un attore comico italiano. Laureato in Scienze della Formazione al Multidams di Torino, ha studiato recitazione presso la Scuola di teatro drammatico Tangram Teatro e presso l’Atelier di Teatro Fisico di Philip Radice


Dal 2005 al 2007, è stato animatore nei villaggi turistici de “I Grandi Viaggi” e, dal 2007 al 2008, consulente creativo presso AdHoc Management, agenzia di formazione aziendale.
Ha fatto parte del duo di cabaret Losito&Minutolo dal 2000. Dal 2008, è presente nei laboratori di Zelig e Colorado Café.
Nel 2009, è entrato a far parte del cast fisso dello show di Beppe BraidaScusate il disagio.
Si occupa di scrittura e analisi dei meccanismi comici. Dal 2016, è autore di Comedy Central, fa parte del cast di Stand Up Comedy e ha registrato il suo spettacolo per Zelig TV nella rassegna Italian Stand Up nel 2019. Quasi certamente, chi di voi lo conosce lo vede soprattutto come imitatore di Alessandro Barbero. Questo è il motivo della sua presenza in queste InterviStorie: il contenuto dei suoi monologhi, infatti, ha spesso e volentieri carattere storico.

 

1) Hai un notevole curriculum come uomo di spettacolo; ma il tuo genere di comicità denota anche una notevole cultura storica e filosofica. Puoi parlarci un po' del tuo percorso di formazione in questo senso?

 

Non credo di avere una grande cultura: la mia è una semplice formazione liceale, che mi ha permesso nel tempo di ritornare su fatti storici e concetti filosofici con degli strumenti in più e un metodo. C’è da dire che, amando le cosiddette ‘materie umanistiche’, non ho mai smesso di studiarle. La continuità fa tanto. Ad esempio, ogni tanto mi viene la prurigine di riprendere lo studio del greco antico, ma con lui troncai i rapporti già in terza liceo e ristabilire i contatti sarebbe sicuramente un trauma. Ammazzerei questa lingua per una seconda volta.

 

2) Sei famoso soprattutto come imitatore di Alessandro Barbero. Imitare uno storico significa, allo stesso tempo, fare divulgazione storica?

 

In linea generale, no. Solitamente, quando un comico si lancia in un’imitazione, tende a curare soprattutto le caratteristiche del suo bersaglio, esagerare i suoi difetti, ripetere le sue frasi tipiche e utilizzare i suoi argomenti come un mero pretesto per fargli dire qualcosa. Per essere chiaro: va bene così, anzi funziona meglio così. Tuttavia, quel percorso non mi interessa. Per me, il personaggio è il contorno, è l’omaggio. Il contenuto sta sempre al centro dei miei pezzi. Quindi, per creare un monologo sulla ‘Caduta di Costantinopoli’ o la ‘Battaglia di Carre’, mi occorrono molte ore di preparazione. Il vantaggio di non essere uno storico o un filosofo è la chiave della mia divulgazione, perché io, in primis, mi faccio delle domande, a cui cerco di dare risposta tramite delle fonti. La paura di sbagliare è anche una grande leva a non affrontare tutto troppo superficialmente. Poi, è ovvio, faccio il comico: ridurre al minimo certi concetti o passare sopra determinate sfumature fa parte del gioco. Ma non stravolgo mai gli avvenimenti storici. Molti insegnanti mi scrivono dicendomi che hanno fatto vedere i miei video ai loro allievi. Da un lato, mi fa molto piacere; dall’altro, so che questi ragazzi magari mi odieranno.  

 

3) Far ridere (soprattutto nel tuo genere di comicità) richiede notevoli dosi di cultura e intelligenza. Ti sembra tuttavia che l'imparare divertendosi venga snobbato, in Italia?

 

Non saprei. Una cosa viene snobbata quando è troppo popolare o va contro l’accademia. Un esempio è Barbero. Quello vero, non il mio. Il suo successo e l’entusiasmo che si è portato dietro ha portato diversi studiosi a criticarlo. Il divertimento e la risata sono mezzi, non meno legittimi di altri. Poi, stiamo parlando di divulgazione, quindi mi immagino sempre un ‘entry level’ della conoscenza (giusto per prendermi una multa dalla Meloni). Non so nulla di Crociate, mi faccio un’infarinata con questo video del professore. Se davvero voglio approfondire, studiare sui libri è l’unica via. Solo leggendo e passando delle ore su un singolo argomento, si può avere un quadro più completo. Dirò di più: se attingo da diverse fonti, posso farmi una mia idea sull’argomento, perché, nel bene o nel male, se mi affido a un divulgatore, devo tenere sempre presente che vedrò il mondo con il suo sguardo: sottolineerà le cose che più l’hanno colpito, sintetizzerà ciò che ritiene superfluo e aggiungerà il suo sapore narrativo. 

 

4) Parliamo un po' della tua collaborazione con Feudalesimo e Libertà, di cui è espressione la band Bardo Magno. Il videoclip del loro Magister Barbero mostra il "tuo" Alessandro Barbero davanti a un pubblico di ragazzini mutati in suoi "seguaci devoti". Davvero la didattica può essere ricondotta al "semplice" carisma dell'insegnante? O ci sono altre ragioni dietro alla motivazione/demotivazione dei giovanissimi davanti allo studio della storia?

 

Non sono un insegnante, quindi non posso comprendere quali siano le difficoltà per uno studente d’oggi nell’approcciarsi alla storia. Per come ho vissuto io lo studio della storia a scuola, posso dire che era una mera una questione di mnemonica. Studiavo giusto in vista delle verifiche, cancellando del tutto le informazioni immagazzinate da un periodo storico all’altro. Venivo interrogato su date, trattati, conflitti religiosi che francamente non mi appartenevano, non mi emozionavano e molto spesso non capivo. Era un ripetersi di date e nomi, date e nomi. Sto un po’ generalizzando, perché non tutti i periodi li ho vissuti in maniera così asettica. Il problema è che il territorio da esplorare è così vasto che non c’è quasi tempo per la narrazione. Ci saranno sicuramente insegnanti più bravi di altri nel trasmettere passione e curiosità, ma questo vale per la storia come per tutte le materie. Il problema ricade sull’insegnante, ma sta a monte, sul come è strutturato il piano didattico e di conseguenza cosa si richiede allo studente: date e nomi. 

 

5) Giustappunto: qual è la fascia d'età media del tuo pubblico, se ne sei al corrente?

 

Penso di essere in una fascia che spazia dai 20 ai 50. Non credo che la mia fascia sia legata tanto all’età, ma agli argomenti che tratto.  

 

6) Far ridere sulla storia significa anche fare filosofia della storia?

 

Come per la divulgazione, anche la comicità mette un suo punto vista. La comicità ha il vantaggio che può essere più sfacciata, sbilanciarsi, provocare, perché (in teoria) non dovrebbe rendere conto a nessuno. Se pensiamo alla comicità come un spunto di riflessione filosofico, potrei dire anche di sì. 

 

7) Tu interpreti anche le macchiette di Nietzsche e Diego Fumaro (non c'è bisogno di precisare a chi alludi). Quali sono le grandi debolezze del pensiero contemporaneo, che le tue macchiette denunciano?

 

Diciamo che quasi tutti i personaggi che interpreto hanno due grandi caratteristiche: la preparazione e l’autoerotismo. Quello che mi affascina e, al tempo stesso, trovo dannoso nel pensiero contemporaneo è il compiacersi troppo delle proprie idee e usarle come marchio. L’idea diventa il mezzo per elogiare la mia competenza, per vendermi meglio, per essere più riconoscibile. Questo concetto lo anche espresso con il mio format comico ‘Letteratura per Rimorchiare’, dove un adone, diciamo così, spiega la grande letteratura che ha come unico fine il rimorchiare l’altro sesso. L’intellettuale che si compiace mi affascina, perché comunque ammiro il suo sapere, ma al tempo stesso mi fa ridere che utilizzi idee di grandi pensatori o artisti per fini più bassi. L’ego è il più grande nemico del nostro periodo, solo che ne siamo tutti così pieni che non notiamo molto quello degli altri, soprattutto se adornato di grandi concetti.

 

8) Hai scelto di far ridere con la finezza, l'intelligenza, la cultura. Ti sembra che la volgarità la faccia tuttora da padrona nella comicità italiana o le cose stanno cambiando?

 

La volgarità non è un male nella comicità, tutt’altro. È una freccia nella faretra del comico ed è bene usarla per spiazzare e provocare. La volgarità è libertà di espressione, è un atto liberatorio. Mi delude solo quando è accompagnata da banalità o mancanza di idee. Si dice che la comicità sia il metro per giudicare una società. Può darsi, ma non mi sento di affermare che il pubblico italiano sia attratto solo dalla volgarità, anzi: ci sono molti bigotti che la giudicano in modo sprezzante senza comprendere il fine dell’autore. In sintesi, non saprei dire cosa funzioni di più o di meno per il pubblico italiano in generale, se stiamo degenerando o se ci stiamo evolvendo. Giudicare la comicità è sempre un terreno scivoloso, perché, in qualche modo, giudichi non solo il comico, ma anche il suo pubblico. E sono due cose meschine che faccio solo in privato.





 

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