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Leggendo “C’erano prima anche di Frida Kahlo”, di Fiorenzo Baini

Esponenti di una creatività al femminile, sbocciata alla cessazione del Medioevo, si fondono narrativamente, in relazione a un percorso di crescita autorale, in pieno possesso di capacità specifiche e precisanti. 

Copertina di "C'erano anche prima di Frida Kahlo", di Fiorenzo Baini

Baini indica più di una dozzina di signore raffigurate in  medaglioni, la più tradizionale delle incorniciature a quei tempi, volta all’adeguamento degli esempi di una sessualità considerata debole per mera convenienza storicamente.

 Lucrina Fetti, per non annegare nell’angoscia si attivò con un impeto creativo forse sproporzionato, impensabile in precedenza, senza preoccuparsi di rivangare la sensibilità del fratello Domenico pari pari, desiderando anzi accentuarne la popolarità, senza stare a discuterci sopra.

Lo sbigottimento si teatralizza nei meandri del proprio sapere, dimodoché Caterina Vigri intese ogni cosa, circa il fatto che Gesù e Maria le rappresentarono visioni nefaste, approfittando di una dote, quella del discernere, al fine di annientarla.

Probabilmente nessun’altro si destreggiava come Properzia de Rossi nel plasmare la materia dura fino ad aggraziare San Petronio, e difatti il prospetto non venne poi completato, segno proprio dell’inferiorità riconosciuta a chi come Properzia potenzialmente; una signora dal rancore a getto continuo.

E che dire di una delle massime rappresentanti dei diritti delle donne, Artemisia Gentileschi, soggetto in perenne cammino emotivo, autonomamente provato da un cuore lasciato battere all’impazzata! Costei sopravvisse alla farsa orchestrata dal suo stupratore per mezzo dell’operato di Giovan Battista Stiattesi, in cambio però fu costretta a entrare nelle grazie della famiglia del suddetto… la ragion d’essere andava pagata. Il marito in realtà causò un corto circuito patrimoniale, ma al contempo un certo Galileo Galilei, meravigliato dalla Maddalena disegnata dalla Gentileschi, dichiarò che solo grazie a lei un’immagine poteva scombussolare gli animi al minimo contatto. Artemisia desiderava svolgere compiti estendendo la sua creatività, e comunque come minimo impegnarsi a seguito di una moltitudine di richieste, motivata dall’essenziale e viziata dalla vita tra i singoli godimenti… parola d’ordine: persistere. Sapeva tenere testa alle avversità purché visibili, pertanto storceva il naso al pensiero di sborsare del denaro ricavato sacrificandosi in cambio di una vigilanza che si attivasse per la sua persona, orchestrabile ugualmente da loschi figuri. Le è successo di stringere dei rapporti con molti esponenti del genere maschile, nulla però a confronto con l’immagine paterna, eterna, che si sarebbe rivelata in fin dei conti vitale significativamente. Era in grado di distinguersi concedendosi affettuosamente, confortando maschi onesti con sé stessi… in effetti costoro generalmente, se maggiorati di dote e di buonsenso, si lacerano in particolare per la solitudine e le debolezze che incorporano. Le richieste di lavoro continuavano a consistere nell’essere ritratti per riconoscenza terrena, perseguendo l’immortalità; e trasmettere gioia soprattutto a una signora significava esclusivamente non scambiare un desiderio per l’esatto contrario.

Artemisia non dimenticò mai che era figlia d’arte. La bontà d’animo e la cordialità in quel del padre poi, stimate dagli altri, parevano essere invece cose inimmaginabili per lei, che naturalmente si chiedeva dove nascondeva la sua verità, con chi aveva a che fare, se capitò maia quel grande padre di provare dell’affetto per la figlia.

Già, i figli… da madre ne scaturì una riflessione tempestiva su come mantenere la sua, e infine il bussare di nuovo alle porte di qualsiasi italiano navigato per vendere certe opere, dei quali schizzi peraltro ne abusarono diversi artisti privi d’ispirazione, per esposizioni di largo, immeritato profitto.

In quel di Napoli e dintorni, e più precisamente visitando la principale chiesa sita a Pozzuoli, impressionante fonte d’ispirazione per la Gentileschi, si finisce ad ammirare proprio degli espansivi dipinti.

Non ancora adolescente, la De Ayala di colpo intese la preminenza creativa di Francisco De Herrera a confronto con il repertorio paterno, vuoi per la vivacità impressa e vuoi per l’abbondanza delle tonalità ben legate tra di loro, da cui si evinceva l’abilità nel costituire richiami raggianti e ombrati al contempo. Ma Baini riconduce narrativamente quest’altra pittrice a un intelletto percettivo, nell’intendere una dimensione più vasta come fonte d’ispirazione per un principio di fede personalmente trasmissibile, e spalancare finalmente gli occhi dinanzi alla bellezza che può trasparire dalle fattezze maschili.

Lucia Casalini invece scalpitò per tutta un’autostima al momento di essere invitata pubblicamente a restaurare un Gesù crocifisso, una creazione di Lavinia Fontana che meritava di tornare bella alla vista dei curiosi e dei devoti, bolognesi e non, in quel di S. Maria Maddalena a Bologna. Possiamo definirla come un’impresa commerciale il connubio ch’esteriorizzava col marito, Felice Torelli, decisamente fruttifero col tempo a lungo andare: gran parte dell’Emilia se ne sarebbe fregiata contemplando enormi dipinti esaltanti figure divine alla sommità di ciascuna chiesa.

Il lettore di questo saggio avrà di che immaginare la Kauffmann, che dovette ringraziare principalmente sua mamma per quel piglio comunicativo che le trasmise, parlando con lo straniero di turno assolutamente senza bisogno di un traduttore simultaneo.

Angelica desiderò visitare il gruppo degl’intelletti milanesi… si aspettò di meglio, eppure l’amministratore meneghino concesse cortesemente alla pittrice di lavorare nuovamente alla luce di una raccolta di tanti aggraziati disegni, alquanto personale.

Il rischio dell’ apatia si dissolse comprendendo il piacere di passare tutt’altro che indifferente agli occhi degli altri professionalmente parlando, cosicché si trovò a fare una scelta di vita, quale smettere per sempre di cantare, nonostante si trattasse di una passione. La sintonia col padre pareva assoluta nello stringere accordi per fare cassa, auspicando infine di aggraziarsi i romani e dunque una città capace di sconfortare nonostante delle attrattive, veri e propri tesori di tempo andato subissanti in contemporanea. La sosta orvietana le permise di contemplare una serie infinita di corpi umani in mescolanza, che si rivelò più che utile volendo andare in visibilio osservando e riosservando l’opera universale di Michelangelo senza se né ma.

E l’amore lo provò a menadito, esaurendosi i nervi, per un nobile scandinavo, capace come nessun altro di negativizzarle l’anima derubandola per giunta di gran parte delle entrate economiche, frutto gustosissimo del proprio talento per la pittura.

Ma ben altra presenza maschile le si fece poi largo a poco a poco, stavolta senza travolgerla sessualmente, d’istinto: Antonio Zucchi era forte dentro, ovvero umile giustappunto per affermare di non essere all’altezza di Angelica artisticamente senza rodersi.

Accattivante naturalmente l’incontro con Goethe, s’intendevano come due perfetti illuminati… lei l’ospitò nella sua residenza romana, atta a stimolare al massimo il Pensiero di qualsiasi saggista votato al vecchio continente, tanto girovago quanto bisognoso di riprendere fiato.

Per il Tintoretto, rifiutare il meglio per la figlia, Marietta Robusti, poteva voler dire salvaguardare lo studio d’arte, con l’attività tornata da poco ridondante a maturare profitti  grazie alle richieste della famiglia Gonzaga, intenta a essere raffigurata nei più vari contesti. Ella pertanto s’immobilizzò, impossibilitata soprattutto a esprimersi autenticamente, pur rappresentando un vanto in casa, avendo contrastato un maestro quale fu Tiziano, senza uscirne sconfitta da siffatta, rabbrividente competizione.

Baini traccia esempi di un gentil sesso volenteroso benché capace di spiccare, alla maniera proprio di una Chiara Varotari, che non vide l’ora di destreggiarsi in autonomia, di farsi da sola concretizzando degl’ideali. Creatività elevata  al femminile… animi che Fiorenzo Baini descrive romanzando, declinando la cifra epocale con particolari sempre variegati, imprevedibili a forza di provare a valorizzarne l’inedito, a patto comunque di perdurare fedeli a ciò che siamo.

La Varotari subiva l’essere aiutante del fratello pittore, perciò s’inorgogliva semmai quando un maschio sopraffino dedito agli affari o appartenente a una lista di nomi influenti non la faceva sentire sola e la considerava con piacere tanto umana quanto intelligente.

Stando alla Gentileschi, che s’incuriosì sul suo conto, le donne necessitano di apparire pubblicamente con tono aristocratico, specie quando di fronte si materializzano una tela e dei pennelli… pur disdegnando coloro che amano mettersi in posa, ritenendole passive in tutto e per tutto. 

Uno schizzo d’infante sopra il foglio, opera di Sofonisba Anguissola, appagò addirittura la curiosità di Michelangelo, pur sempre critico come se desideroso di vederlo angosciato, con un’espressione così finemente spirituale per la quale si richiede la perfezione dal profondo degli alti e bassi d’umore. Michelangelo allora la sollecitò per il meglio fatto ad arte, e l’attesa non fu vana: riscontrò nella semplice immagine ricreata con la matita il massimo esempio di dolore che un bambino prova. Sì, con l’Anguissola assisti a una serie sottilissima di supposizioni remote; e pensare che il sovrano più in voga di quei tempi la conobbe e la scelse come autrice di un dipinto in cui riflettersi più o meno appieno, pronto a recitare la preghiera cristiana.

Antonio Crozat non ebbe  alcun tipo di livore verso Rosalba Carriera, dacché celebre per conto proprio e di conseguenza assolutamente benestante… una persona tutta d’un pezzo, fedele ai nobili sentimenti pur appartenendo al genere maschile.

Rosalba piuttosto si destreggiava con le tonalità tenui come ben pochi pittori, sfruttando una capacità specifica che poteva condizionarla assolutamente in negativo rendendo irrisolvibile la più piccola delle sbavature, ma il suo tocco impattando velocemente volgeva all’incanto.

Approcciarsi socialmente con la Serenissima, la città delle sue origini, significava sputtanarsi pubblicamente, poco male… a costei le bastava stringeva il rosario e rimanere assorta in preghiera per scacciare qualsivoglia tormento, con buona pace pure dei transalpini.

Tra il profilo non del tutto drizzato, il volto bianco e longilineo, il costume rispettoso anche se non dava modo di celare la forte nostalgia espressa con un’occhiata, ecco che lei rimase trafitta da Watteau, potendo coglierlo artisticamente.

Certe figure diventano più che belle orchestrate dalla parola di Baini, del resto unendosi accrescono un’energica manifestazione di colori, per una sempre più stabilizzante concezione dell’essere.

Palomino intese di volere ardentemente per il proprio piano di biografo degli artisti spagnoli  la scultrice Luisa Roldàn, e si diresse verso la capitale spagnola dov’ella risiedette mestamente, per stabilire un contatto e sapere della sua vita per intensificare un racconto come ben pochi.

Gli spagnoli si prostravano ai piedi dei forestieri, nessuno era profeta in patria, men che meno la Roldàn, appariscente a seconda di un corpo femmineo, più o meno svettante, alquanto emotiva al momento di costituire manualmente delle sembianze spirituali.

A proposito di confronti: se Elisabeth Vigée Le Brun aveva nostalgia per il vecchio potere, Adélaide Labille-Guiard era dalla parte di chi lo fece cadere letteralmente in Francia, lungi quindi dall’intendersi a meraviglia per confidarsi tutto e di più; una beata inimicizia però seppero definire, a ripulirle ogni sorta di contrasto.

Secondo Baini le volontà si portano avanti per un riconoscimento, mentre ci chiediamo il motivo che ci spinge fino a precipitare negl’inferi; il motore degli eventi, la Storia, si accende per splendere stando proprio a quel che bramiamo, in una misura che rimane comunque, infinitamente soggettiva.

Le due artiste francesi adesso in questione ammettono in assoluto d’aver desiderato per tutta una vita di fare qualcosa con piacere, ovvero creare, e magari evitando di perdere tempo a polemizzare in larga linea teorica.

D’altronde, le capacità insite al genere femminile, quelle sì che cambierebbero il mondo, se non fosse che vengono minacciate ogni volta in merito a una forma di pudore sin troppo stantia, che sbriciola le alternative per decretare il benessere sociale.

Il saggio pullula di quella voglia,  mista al sacrificio, di non farsi dimenticare dacché donne, necessitando di mantenere le antenne dritte tutti quanti, per un nuovo dimensionamento terreno, senza che si parta avvantaggiati, dacché pervasi dal genere maschile.

Piuttosto, a pervadere l’opinione pubblica ritorna prepotentemente il mistero della vita, notando come nel breve lasso di tempo una meravigliosa creatura può morire nelle sembianze di un’anziana derelitta come accadde all’eroina pittrice più sfortunata di tutte, Elisabetta Sirani.

Vincenzo Calò

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