Passa ai contenuti principali

Vincenzo Calò intervista il cantautore Max Arduini




Max Arduini è ravennate di nascita con una lunga gavetta nell'underground romagnolo a cui si ispirano i suoi testi di cronaca e gli argomenti di interesse sociale.
 Il suo stile viene avvicinato da alcuni critici a quello dello chansonnièr e Il suo sound è in grado di cingere vari generi, dal blues al rock sino al folk, unendo la tradizione cantautorale italiana da originale songwriter. 
max arduini cantautore

Ha partecipato più volte a “Demo, l'Acchiappatalenti” classificandosi 2º nell'edizione 2010/2011 con il brano ... Che proprio in Via D'Amelio dopo essersi esibito dal vivo negli studi di Saxa Rubra (Rai).
Nel Marzo 2011 è tra gli artisti selezionati al Buskers Antimafia Festival nella Giornata Nazionale Della Musica Contro La Mafia indetta dall'associazione Libera di Don Ciotti con un brano dedicato a Paolo Borsellino e alla sua scorta.
Colleziona negli anni una notevole attività concertistica che lo vede il 2 dicembre 2011 ad aprire il concerto di Gianmaria Testa al Naima Club di Forlì.
Dopo aver partecipato a vari concorsi nel 2012 si classifica secondo a “Folkest” nella selezione territoriale Italia Centro Meridionale facendosi notare nella programmazione estiva con un concerto tenutosi a Goricizza di Codroipo in provincia di Udine.
Nel 2012 è Premio Meeting Delle Etichette Indipendenti vincendo con il brano La settima casa il concorso regionale “La musica libera, Libera la musica”, promosso dall'Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e realizzato in collaborazione con Porretta Soul Festival, la Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli e il festival La Musica Nelle Aie.
È stato trasmesso da diverse radio nazionali, quali Radio Rai, Isoradio, Radio 3i, Radio San Marino, Radio Koper Capodistria…!
Max Arduini è stato distribuito da Egea Distribution, già produttore di nomi quali Peppe Servillo, Gianmaria Testa, Fabrizio Bosso, Roy Paci e tanti altri.
Il 20 febbraio 2014 si esibisce all'Edicola Fiore di Fiorello proponendo il brano La rivalona.
Nel giugno 2014 è stato pubblicato il quinto album in studio, Patchwork Playing, registrato a Roma in collaborazione con The BandHits, il gruppo che accompagna Max Arduini in concerto.
La buona riuscita del brano Api sul tema dell'estinzione convince il giornalista Renato Marengo a recensirlo su Classic Rock nel dicembre 2014.
Il 25 aprile 2015 Max Arduini si è esibito con il suo nuovo spettacolo Con Passo a Compasso al Teatro Titano di San Marino per raccogliere fondi destinati alla distrofia muscolare su iniziativa della Commissione Authority per le Pari Opportunità e la Segreteria alla Cultura della Repubblica di San Marino, in collaborazione con San Marino RTV media partner della giornata dedicata alla disabilità e intitolata “Insieme si può fare”.
Il 21 giugno 2015 partecipa a Demo d'Autore di Michael Pergolani, evento tenutosi al parco de L’Ex Manicomio Santa Maria della Pietà, nella prima edizione di “Musica è salute”, manifestazione itinerante, organizzata da ASL Roma E con il patrocinio dell'Assessorato Cultura e Turismo di Roma Capitale per valorizzare il Parco di Santa Maria della Pietà come luogo della salute e del benessere.
Il 30 luglio 2015 si esibisce a San Marino con il suo spettacolo intitolato Son proprio mille i motivi che ricordan Garibaldi nell'ambito della manifestazione dedicata alle 12 ore di Garibaldi a San Marino, "In fuga da Roma, salvo a San Marino" organizzata dalla Segreteria di Stato, dal Ministero della Cultura della Repubblica di San Marino e dal Comune di Ravenna.
il 14 febbraio 2016 in un'intervista a San Marino RTV  annuncia la pubblicazione dell’album dal titolo 1/2 Vivo 1/2 Postumo.
L'album verrà pubblicato ufficialmente il 9 giugno del 2017 con la supervisione di Renato Marengo e la produzione di Claudio Poggi, storico produttore dell'album Terra mia di Pino Daniele, su etichetta ClapoMusic e distribuzione Edel.
Il 13 giugno 2019 annuncia tramite il suo ufficio stampa l'imminente pubblicazione del nuovo album di inediti, decimo album in carriera, intitolato La scienza di stare in fila.

L’INTERVISTA

Caro Max, la passione per un luogo d’origine può venire interpretata senza tralasciare alcun genere musicale?

I luoghi d'origine sono il nostro DNA che non possiamo trascurare o ignorare. Facciamo parte di quei luoghi e, come tanti prima, cadiamo nel raccontarli attraverso la nostra dottrina. Sono certo anche di non poter trascurare il fatto di non essere solo un luogo d'origine ma di poter attingere verso altre direzioni. Il genere musicale è solo la facciata di chi cerca la propria identità; ma credo si possano esplorare altri luoghi, facendo così in modo di avere sempre il mondo a portata di spartito. Nelle mie canzoni c'è tanta Romagna ma anche molta Italia.

Le collaborazioni influenzano il cantautorato fino a rovinarlo?

Quando parliamo di collaborazioni, le stesse debbono essere condivise senza alcuna replica. Nascono per una qualche ragione magica e quindi non dovrebbero recare danno. Nel mio caso, sono sempre io a cercare la collaborazione che più si addice anche al mio mondo artistico. Le collaborazioni sbagliate, però, possono rovinare l'ispirazione; la band sbagliata può inconsapevolmente rovinare l'armonia dell'autore. Bisogna fare attenzione a chi incontriamo, spesso si traveste, si mimetizza. Trovare chi davvero vuole sostenere il nostro talento non è semplice; sono solo le collaborazioni virtuose con professionisti virtuosi a non danneggiarci. Fate attenzione ai dilettanti che si credono professionisti, sono molto bravi a raccontarcela ma poi il tempo galantuomo li scopre. Attenzione a chi incontrate sulla via, facendo bene ammenda su una cosa importante; siate sempre voi a decidere il destino della vostra musica, come io per la mia. Purtroppo mi è capitato di incontrare presuntuosi che, invece di mettersi a disposizione del progetto, hanno anteposto il loro ego, giudicando il mio operato e quel progetto che avrebbero dovuto invece sostenere. In questo caso le collaborazioni sbagliate danneggiano parecchio e ci fanno perdere tempo. La parte positiva è quella di accorgersene in tempo, rimandandoli da dove sono venuti; perché, se noi ripartiamo sempre, loro saranno ancora e sempre alla ricerca di qualcun altro da rovinare. La differenza la fa sempre il movente di una collaborazione, se d'interesse economico o di stima profonda in quello che facciamo.

Ah, a proposito, non c’è soggetto che possa svolgere meravigliosamente dell’attività giornalistica come un cantautore, o sbaglio?

Non so se un cantautore può svolgere l'attività giornalistica ma quelli come me, abituati a usare il vocabolario, possono utilizzare una parte di quella professione, dovendo dimostrare niente a nessuno. Non mi permetterei mai di competere con chi fa a tempo pieno il mestiere di giornalista ma diciamo che un cantautore che sa coniugare un buon italiano e possiede un discreto lessico, abbinato alla creatività, può anche provare a essere il critico o il promoter di se stesso. Io lavoro con Alfaprom e Lorenza Somogyi Bianchi che mi cura le comunicazioni stampa, ma per il resto cerco di elaborare le mie scritture anche sotto forma di taglio giornalistico o, quanto meno, ci provo.

Riesci a ragionare in preda ai sentimenti, e quindi parole e melodia vanno a braccetto d’istinto?

Diciamo pure che i sentimenti sono sempre importanti, le canzoni nascono dietro al sentimento, anche se nel mio caso non pilotano le scelte. Non amo la scrittura di getto, non è razionale; necessita di ricerche. Tuttavia ogni composizione conserva in sé quel sentimento magico che realizza quelle immagini nelle notti di scrittura. Esercitare la professione a tempo pieno ti insegna a gestire i sentimenti anche attraverso la didattica. L'istinto è importante ed è stimolante, perché non sai mai dove ti porterà, anche se alla fine riesce ad accoppiarsi sempre con il sentimento. Ho sempre considerato la mia professione come una sorta di scrittura cinematografica e, come fanno gli attori, cerco di immedesimarmi emotivamente nella storia che vado a raccontare in musica; del resto gli attori perdono peso, plasmano il proprio corpo a seconda della parte che vanno a interpretare, perché non dovrebbe essere anche per un cantautore? Infatti, cerco di plasmare la mia interpretazione che voglio mettere in scena; possiedo un mio modesto operandi a riguardo. Un bravo scrittore riesce sempre a coniugare conoscenza e istintività, senza che le due cose vadano in contrasto. Se per scrivere dovessi affidarmi solo al sentimento non potrei vestire una canzone con le parole appropriate; l'istinto trova l'ispirazione, la conoscenza la mette in riga. Scrivere canzoni non è solo un dono che possiedi da subito, tutt'altro; è un mestiere artigianale sopraffino che non si improvvisa e necessita di profonde emozioni. Diciamo che i sentimenti non vanno a braccetto con l'istinto anche se a volte camminano fianco a fianco. Oggi il caos mediatico ha creato troppe immeritate aspettative; ricordo che ai tempi delle elementari quasi tutti, rapiti dalla poesia, scrivevano bene o male stralci di poesie ma senza pretese. Oggi trovi il chiunque di turno che crede di poter scrivere musica e testi, basandosi unicamente sulle proprie emozioni; ma le emozioni devono concentrarsi sulla costruzione dell'arte, un po’ come succede a uno sceneggiatore o a un attore… purtroppo la realtà è ben diversa: non bastano sentimenti e istinto, ci vuole conoscenza. Ecco perché dalle elementari poi non usciva mai un vero poeta… sì, oggi si credono tutti cantautori.

L’umanità necessita più di fermarsi o di muoversi?

Al momento, sono certo che necessiterebbe di un urgente stop. Mi accorgo sempre di più quanto ci siamo persi per strada e quanto ci perderemo ancora se il mondo non si accorge che la storia si è fatta, guardando sempre indietro tramite il passaggio di consegne. Francamente sono preoccupato della direzione intrapresa dal mondo e dall'avvento di internet che, a mio personale parere, dovrebbe essere preso in considerazione come un'arma e con un conseguente porto d'armi; non è possibile dare a tutti l'arma di distruzione verbale, quando non si è in grado di gestire la dialettica. Dobbiamo fermarci, ma per farlo dovremmo prima guardarci indietro. Il mondo è cambiato per certi versi in meglio. Tutto è più collegato ma è anche tutto più sfuggente e ingestibile. Persino la mia professione in questo mondo è momentaneamente segregata a mo’ di gioco di società per famiglie, tipo karaoke sclerotico. Un tempo era un dono e privilegio fare musica, oggi rischiamo di vedere palcoscenici pieni di pseudo artisti e platee vuote, perché tutti ormai fanno parte del grande disegno globale. Questa tua domanda mi porta a pensare a quanto il web e la nuova TV abbiano influenzato le nuove generazioni e quindi demotivandole a intraprendere altre professioni più sicure. La disoccupazione giovanile è salita al 27,1% e al Festival di Sanremo Giovani dicono che sono pervenute 842 richieste di partecipazione, il maggior numero dal Sud con 365 partecipanti, poi il Nord con 299 e il Centro con 167. Questo mondo non è in movimento, necessita di una revisione, non ci sono più buoni esempi e i giovani sono in balia di un sistema fittizio, privo di profonde intenzioni. Non c'è talento ma solo la speranza di sfondare e far soldi; rimettiamo le lancette indietro, rieduchiamo il mondo a fare gavetta e imparare un mestiere! La cosa preoccupante è che questa statistica è in crescita e la TV non aiuta di certo i giovani a trovare la propria collocazione. A me la teoria  «Nel futuro ognuno sarà famoso in tutto il mondo per 15 minuti» di Andy Warhol non è mai piaciuta, anche se ci aveva visto lungo. Fermate il mondo, voglio scendere!  

Preferisci rivolgerti a un collettivo o al singolo individuo?

Nella mia carriera ho avuto sempre il privilegio di scegliere; mi sono sempre costruito i dialoghi nel mio cammino. Nel 2010 incisi un album dal titolo "L'arte del chiedere e dell'ottenere", un titolo che la dice lunga. Gestire un collettivo spesso è faticoso, soprattutto quando cerchi di mettere tutti d'accordo e ti accorgi che tutti vogliono primeggiare. Il singolo individuo è più semplice da gestire ma non c’è la stessa magia del rivolgersi a un collettivo da conquistare. Quando parli a un collettivo che ti stima tutto viene più semplice ma non sempre si ha la fortuna di incontrare persone genuine. Tutto sta nel riconoscere il capitano di quel collettivo; tanto poi i nodi vengono sempre al pettine. La mia carriera è sempre cresciuta attraverso il confronto e la collaborazione del singolo.

Le nuove generazioni t’ispirano…?

Un tasto molto dolente. Le nuove generazioni non hanno colpa dell'appiattimento culturale, la colpa è degli adulti che li hanno cresciuti al grido di “Sarai il nuovo Totti o il nuovo Valentino Rossi”. Per i genitori di queste generazioni non conta cosa i figli sappiamo davvero fare, ma conta solo arrivare primi, guadagnare. Anche se molto spesso noto la mancanza di insegnamento, e il sistema e il mondo girano troppo veloci; qualcuno ha volutamente allontanato le nuove generazioni dallo studio e dalla conservazione della Cultura, salvandone una minima parte. Al momento non mi ispirano, anzi alcuni mi angosciano, sento che ci siamo persi molto lungo la strada, c'è una mancanza di passaggio del testimone. Non credo che questo tipo di artisticità costruita a tavolino avrebbe fatto presa un tempo, quando la musica veniva davvero scritta poeticamente. Comunque sono certo che come le precedenti generazioni anche queste sapranno ispirare se stesse. Ispirare un adulto non è materia di interesse, perlomeno non la mia, un tempo saremmo stati noi a ispirare loro. Se questo mondo mette i giovani davanti agli adulti, allora vuol dire che nessuno ispira più nessuno, qualcuno ha deciso di invertire il corso naturale delle cose. E comunque, citando il Rap* o il cosiddetto Trap, credo che non abbiano nulla che possa ispirarci (*un genere che ancora appartiene all'America, ad Harlem e alla cultura afroamericana che con la cultura italiana ha nulla da spartire).

Mai avuto fame di… fama?

C'è stato un tempo che anche io ho bramato la fama come tutti gli inesperti adolescenti che vedono solo un terzo del quadro che li aspetta. Se potessi parlare con il mio io adolescenziale, lo metterei in guardia. La maturazione non mi ha mai spinto ad avere fame di fama; gli obbiettivi hanno accresciuto in me il desiderio di imparare conseguendo con merito i risultati, maturando la conoscenza e le capacità. Senza gavetta la fama non ha alcun senso logico; oggi manca la gavetta e quindi rimane solo la voglia di fama, di mode che passano di trash, di gossip. La mia fame proviene sempre dal sapere; se c'è qualcosa che non conosco allora comincio lo studio per migliorarmi. L'unica fame che mi viene in mente ora è quella della mia passione per la vita; sono un uomo fortunato. Ho iniziato a sognare musica nel 1988 e oggi sono un professionista che vive di questo; quale fama potrebbe farmi stare meglio di così?

Un artista per consolidarsi deve dare tutto se stesso?

Non conosco altra via per raggiungere la stabilità. Ma, come dicevo, lo studio e la conoscenza sono alla base di una duratura carriera per quanto piccola o grande che sia. Noto troppo spesso nel Prossimo la leggerezza di un immeritato risultato o l'ammirazione di qualcosa che non si può avere senza una crescita costante, che non potrà mai consolidarsi attraverso la realizzazione del denaro. Gli unici risultati seri sono dovuti sempre dal nostro volere; anche se a volte siamo combattuti con il continuo essere ostacolati da invidia e ignoranza; l'unica maniera di consolidare la propria posizione di artista è quella di ignorare tutto il resto, credendo solo nel nostro potenziale, solo così potremo consolidare la nostra fame artistica. Una cosa che mi rattrista sempre è sentire nuove generazioni che non apprezzano la bellezza o la bravura; ma venerano la fama del successo, il denaro. Senza contenuti nessun denaro potrà consolidare il talento.

Dai live non si scappa?

L'unica strada sicura per chi fa musica è sempre il palco. Non ci sono altre cose che contano di più. A me piace moltissimo scrivere, direi che è la parte più stimolante, riguarda tutta la fase costruttiva, tra studio, partitura, ricerca, bozze e ispirazioni; ma poi deve arrivare la scena, altrimenti tutto il lavoro creato prima rimane solo un bizzarro capriccio di uno scrivano senza mestiere. Ho conosciuto tanti aspiranti cantautori che dicono di esserlo senza mai essersi esibiti veramente; io a quelle persone direi “Sei un hobbista con il vezzo dell'immaginazione!”. Sono un cantautore, anche se tale sostantivo è stato surclassato negli ultimi vent'anni… direi addirittura desueto di fronte alla miriade di giri armonici scolastici, ma per un cantautore o musicista che si rispetti il palco e le esibizioni dal vivo sono fondamentali per sperimentare quanto di già scritto in precedenza. Se chi scrive musica non si fa conquistare dal palco, allora significa che quell'elemento non è un cantautore, ma uno dei tanti che sognano di diventare astronauti.

In conclusione, tanto per citare Fossati, c’è sempre tempo per…?

C'è sempre tempo per continuare a scrivere; raccontando quello che altri non hanno ancora individuato. Sì, raccontare anche storie già trattate guardandole da un'altra angolazione. La mia attenzione ricade sempre sulle argomentazioni delle canzoni, la parte letteraria ma soprattutto la costruzione armonica. Ho sentito dire che le note sono quelle e che le combinazioni possibili sono finite… non è affatto vero! Le combinazioni sono state ripetute per decenni e anche ora noto che le generazioni che si avvicinano alla composizione utilizzano sempre gli stessi giri di accordi… ecco, direi che c'è sempre tempo per imparare la musica e cercare attraverso essa l'originale e meritata capacità di non diventare il clone di qualcuno o il copia/incolla di qualcun altro. C'è sempre tempo per imparare chi siamo veramente. C'è sempre tempo per capire che la musica non è necessaria se viene fatta senza capacità. C'è sempre tempo per far tornare la musica, il baluardo che ha fatto grandi gli anni '70 e, con essi, il naturale ripristino del merito assoluto. Insomma, c'è sempre tempo per credere in un cambiamento serio; in un cambiamento necessario per il ritiro di chiunque.


Vincenzo Calò

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...