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Leggendo “DiVersi in Prosa – Viaggio alla ricerca di me…”, di Leonardo Manetti




La poesia viene invocata giacché deliziosa artefice di un tempo del tutto personale, che scorre con leggerezza, normalmente, rivalutando certe attività, quelle svolte da coloro che coltivano la terra, alla luce delle familiari tradizioni, dell’autentico buongusto, estasiante quando un dato paesaggio aspetta solo d’essere contemplato, fortificati da risultati ottenuti rispettandolo, fertilizzandolo fuori dall’ordinario, tra l’illusione, la favola e il sogno: tre elementi da mischiare dimodoché la verità comporti l’univoca sorte. 
“Un'oasi solitaria 
nel deserto della velocità 
scandisce il mutare delle stagioni 
un sottofondo di musiche classiche”.

Riaprendo gli occhi alla natura vuol dire sperare che il futuro sia migliore, Leonardo effettivamente ama svolgere delle attività distante da qualsiasi tipo d’artifizio, un qualcosa che ha desiderato fare da sempre… guarda caso il poetico apice secondo lui lo si tocca producendo il vino, che per degustarlo bisogna attenersi a un cerimoniale favoloso, al momento di servirlo, dimodoché s’ingigantisca la voglia di riconoscersi nei sacrifici compiuti, in una certa stagione, per realizzarlo alla portata di tutti.
Nelle parole di questo poeta si passa da una collocazione terrena che costa fatica alla vegetazione selvaggia, contorta, e viceversa; agendo come degli agricoltori lesti a donare della proverbiale vivacità d’animo, a chi si entusiasma sull’orlo di un’ubriacatura, ballando e cantando sotto la pioggia, con una serenità raggelante, a precedere il tormento primaverile che poi porta a legittimare la passione con cui il sole splende. 
leonardo manetti diversi in prosa
Manetti intende delle qualità che se sortite danno modo di credere che tutto torni, leggiadramente; la sua solitudine si riferisce all’eternità della messa a prova di un prodotto della natura del tutto autentico, che lui ricava, oltre al fatto di distinguersi con la salvaguardia di un fiore prezioso, rappresentativo per la comunità fiorentina, ossia l’Iris pallida, che sbocciando rende seppur brevemente ammalianti le terre per chi le lavora e non solo… un decoro straordinario!
“Tutto è poesia agli occhi di un bambino meravigliato dalla normalità”.
I versi successivamente s’incentrano sull’immagine di una dolce metà alquanto riservata e talvolta cupa, caratteristiche che ritemprano il poeta che necessita di riprendere la propria vita in chiave sentimentale, di spalancare le porte nuovamente senza venire travisato dalla nostalgia, e abbracciare l’incanto di un destino che ci viene incontro anche e soprattutto quando non ce ne accorgiamo; giacché disattenti o disattesi di per sé.


“Leggendo lettere imprigionate
di un corpo ferito
scoprii intimi segreti
corsi fuori, all'aperto”.




Messaggi sopraffini, di una memoria desolata e lacerante vanno colti nonostante una rigidità di tipo residuale, per riempire inquadrature positive col candore emotivo, che si ottiene tacendo in quel contatto che non può fare altro che impreziosire l’animo umano… nel potere degli affetti che purtroppo può annullarsi se le volontà si distaccano tra di loro, se non si crede in qualcosa e di conseguenza in qualcuno.
“Persi senza ragione in un labirinto 
cerchiamo vie nascoste”.

Le altezze rappresentavano delle conquiste, quella ripidità tra l’immacolato, il tenero e l’avverso che ti spegne la luce, sgraziata dal corso degli eventi… tanto valeva andare via, lontano, denotare come le coperture degli stabili spiccano in una grande metropoli offuscando il cielo, e ch’era allora indispensabile prendersi il proprio tempo senza pensarci, prolungarsi alla faccia della normalità e del progresso che la modernità ci propina, destinarsi a un luogo esotico, propensi all’ascolto di musiche da ballo entusiasmanti e accattivanti al contempo… insomma: Leonardo voleva sprofondare nell’amore desiderato, in mezzo a quell’umanità che ogni volta ti stupisce e in un contesto territoriale da sogno, solitario, con immagini seducenti, travolgenti al momento di rintracciare l’immensità, tastando il buio.
Manetti si allontana dalle sue care radici per rigenerarsi doverosamente, giacché trafitto da una dolce e delicata tristezza che s’ingigantisce improvvisamente come se costretto a stare sotto la pioggia, a concepire una malattia senza che gli altri possano comprendere, paragonando addirittura la vita che comincia alle sabbie mobili… da qui il desiderio di provare più esperienze possibili per motivare la coscienza, prima di ridursi in cenere e abbandonarsi nell’aria, godendo dell’infinito, di una dimensione al naturale per nulla incolta grazie al suo operato, alla sua passione.

“Gesto doveroso
un rituale sano
esclama la libertà”.



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