Passa ai contenuti principali

Cozze, liscio e rap nostrano

the mussels manerbio
The Mussels
La Festa Democratica di Manerbio, nel 2017, ha previsto tre serate di gastronomia e musica all’Area Feste di via Duca d’Aosta. Per i bambini, erano disponibili i consueti giochi gonfiabili e il camper di Tino, il signore dei giocattoli artigianali.
            Il menu comprendeva tre qualità di casoncelli, prosciutto e melone, tagliata di manzo, “pà e salamìna”, salsiccia con polenta, spiedo (al sabato), formaggio alla piastra, merluzzo “del pescatore” o alla livornese, fagioli, patatine fritte, pomodori e torte artigianali. Da bere, come sempre, c’erano bibite, acqua, caffè, birra e vini rossi o bianchi.
            L’affluenza non è stata propriamente oceanica. In compenso, le serate musicali erano meritevoli di attenzione. Il 7 luglio 2017, sono salite sul palco “The Mussels”: quattro voci femminili (e tutt’altro che “cozze”, a dispetto del nome). Nicole Bulgarini, Ilaria Tengatini, Miriam Smussi ed Elena Troiano hanno intrattenuto i presenti col canto, il pianoforte, la chitarra e l’ukulele. Il loro repertorio di cover comprendeva passato e presente: fra gli altri, erano presenti le Labelle, Rihanna, Stevie Wonder, Michael Jackson, Ed Sheeran, Sting, Whitney Houston, Ray Charles, Leonard Cohen, Elton John, Ariana Grande e i Queen.
           
janita manerbio
Janita (Augusta Capra)
L’8 luglio, è stata la volta dell’orchestrina di Janita (al secolo, Augusta Capra). I suoi brani, come sempre, erano adatti al ballo liscio e latinoamericano, oltre a comprendere pezzi degli anni ’60-’70-’80. Sulla pista sotto il palco, coppie e gruppi si sono mossi su motivi country, su canzoni di Madonna e di Zucchero, a passo di twist, danza gitana, tarantella italo-irlandese, mazurka, tango, valzer lento, cumbia, fox trot.
            Il 9 luglio, la festa si è chiusa in bellezza con Dellino Farmer, il rapper dialettale della Bassa Bresciana. È giunto sul palco accompagnato da una marcetta circense e ha diretto le “reazioni spontanee” del pubblico con cartelli: “Entusiasmo”, “Applausi”, “Pogo”. Il programma è stato avviato da “Riciàpet”, un invito a risollevarsi dal “logorio della vita moderna”. È seguito “El tirapàc”, canzone di protesta contro chi “bidona” gli impegni. “Al me paés” satireggia il perenne lamentarsi fine a se stesso, che ronza particolarmente nei piccoli centri. “Me vègne da la basa” riscrive il famoso brano di Caparezza “Vengo dalla luna”: perché, se è vero che siamo cittadini dell’universo, è vero anche che le nostre origini lasciano un’impronta in noi. È arrivata poi un’ironica fantasia di Dellino: una vacanza di Jovanotti e Ligabue sul Mella. Il suo rifacimento di “Domenica bestiale” ha suggerito invece di accompagnare la fidanzata in agriturismo, quando non si sa più cosa inventare per essere romantici. “Da Sarès a Calvagés”, il linguaggio universale è il dialetto (lo parlano anche in Inghilterra, dice Dellino…). “P.O.T.A.” è una canzone-acrostico che dimostra come una sola parola possa riassumere la brescianità. E poco importa se chi parla il vernacolo locale è considerato in estinzione “Come i panda”. Il clima locale non è proprio perfetto, con tutta l’umidità che c’è; però, dà l’occasione di volgere in rap la dannunziana “Pioggia nel pineto”. 
dellino farmer manerbio
Dellino Farmer & friend.
            Meno poetica è la ricerca del lavoro, per chi ha la vocazione a impegnarsi onestamente. La bellezza torna davanti alla campagna, che “Si spoglia si riveste”. Giusto per aggiornarsi, non sarebbe potuta mancare la versione delliniana di “Occidentali’s Karma”: “Enciochetàs söl Garda”. Un classico era “Oflàga”. Dedicata ai milanesi era invece “Sènsa vi”: perché, come ha sottolineato un suo amico meridionale, il vino è “vin” in Veneto, “vi” a Brescia, “i” a Bergamo… e, a Milano, non rimane più niente da bere. La conclusione è stata “Ferie al Mella”: un suggerimento per chi non sa dove passare le vacanze.



Paese Mio Manerbio, N. 123 (agosto 2017), p. 4.

Commenti

Post popolari in questo blog

Letteratura spagnola del XVII secolo

Il Seicento è, anche per la Spagna, il secolo del Barocco. Tipici della letteratura dell'epoca sono il "culteranesimo" (predilezione per termini preziosi e difficili) e il "concettismo" (ricerca di figure retoriche che accostino elementi assai diversi fra loro, suscitando stupore e meraviglia nel lettore). Per liberare il Barocco dall'accusa di artificiosità, si è cercato di distinguere una corrente "culterana", letterariamente corrotta e di contenuti anche immorali, da una corrente "concettista", nutrita dalla grande tradizione intellettuale e morale spagnola. E' vero che il Barocco spagnolo vede, al proprio interno, vivaci polemiche fra autori (come Luis de Gòngora e Francisco de Quevedo) e gruppi. Ma l'esistenza di queste due contrapposte correnti non ha fondamento reale. Quanto al concettismo, è interessante notare come esso sia stato alimentato dalla significativa definizione che di "concetto" ha dato Francesco...

Farfalle prigioniere, ovvero La vita è sogno

Una giovane mano traccia le linee d’una farfalla. Una farfalla vera si dibatte sotto una campanella di vetro. La mano (che, ora, ha il volto d’un giovane pallido e fine) alza la campanella. L’insetto, finalmente libero, si libra e guida lo spettatore nella storia del suo alter ego, la Sposa Cadavere.              Così come Beetlejuice , The Corpse Bride (2005; regia di Tim Burton e Mike Johnson) si svolge a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, mostrandone l’ambiguità. A partire dal fatto che il mondo dei “vivi” è intriso di tinte funeree, fra il blu e il grigio, mentre quello dei “morti” è caleidoscopico, multiforme, scoppiettante. A questi spettano la gioia, la saggezza e la passione; a quelli la noia, la decadenza, l’aridità. Fra i “vivi”, ogni cosa si svolge secondo sterili schemi; fra i “morti”, ogni sogno è possibile. Per l’appunto, di sogno si tratta, nel caso di tutti e tre i protagonisti. A Victor e V...

"Gomorra": dal libro al film

All’inizio, il buio. Poi, lentamente, sbocciano velenosi fiori di luce: lividi, violenti. Lampade abbronzanti che delineano una figura maschile, immobile espressione di forza.   Così comincia il film Gomorra, di Matteo Garrone (2008), tratto dal celeberrimo libro-inchiesta di Roberto Saviano. L’opera del giornalista prendeva avvio in un porto: un container si apriva per errore, centinaia di corpi ne cadevano. Il rimpatrio clandestino dei defunti cinesi era l’emblema del porto di Napoli come “ombelico del mondo”, dal quale simili traffici partono ed al quale approdano, da ogni angolo del pianeta. Il film di Garrone si apre, invece, in un centro benessere, dove regna un clima di soddisfazione e virile narcisismo. Proprio qui esplode la violenza: tre spari, che interrompono il benessere e, al contempo, sembrano inserirvisi naturalmente, come un’acqua carsica che affiora in un suolo perché sotto vi scorreva da prima. Il tutto sottolineato da una canzone neomelodica italian...