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Vincenzo Calò, un poeta esordiente a Manerbio



Il giovedì, la Biblioteca Civica di Manerbio rimane aperta dalle 14:00 alle 21:30. Per questo, un Gruppo di Lettura s’incontra tutti i mesi, in una di quelle sere di orario continuato. Una frequentatrice del gruppo ha tentato un esperimento: invece di riunirsi intorno a un libro, parlare con un autore in carne ed ossa. Un poeta giovane in cerca di nuove strade: Vincenzo Calò.


            Nato a Francavilla Fontana (Brindisi) nel 1982, diplomato in ragioneria, come scrittore è praticamente autodidatta. I suoi versi, tuttavia, raggiungono una concentrazione e una complessità che combinano ermetismo e realismo.
Calò collabora con due giornali, "L'Attualità"  (periodico romano con tematiche etico-sociali) e "Roma Capitale Magazine" (testata on line). Insieme al cantautore Antonio Di Lena, gestisce il blog "Suoni del Silenzio", dedicato agli artisti emarginati dai media per la propria originalità.
La sua ricerca è volta soprattutto a trovare canali per allargare il pubblico della poesia, poco sedotto dalla carta stampata. Calò si è perciò cimentato in rappresentazioni teatrali e musicali; ha partecipato come comparsa a due cortometraggi. È affascinato dai graffiti dei writers («…con una bella grafia, si possono diffondere versi sui muri»). Su YouTube, imperversa con virtuosistiche chiacchiere filosofiche, insieme ad Antonio Maria Karelias Ferriero, primo responsabile dell’associazione socio-culturale Koinos. Sempre per conto di quest’ultima, Calò cura il progetto “All’anima di… Francavilla!”: passeggiate per la città in compagnia dei suoi versi, nei luoghi che glieli hanno ispirati.
            «Da ragazzino, ho sofferto molto la solitudine. Poi, ho capito che poteva diventare la mia forza…» è stata una delle affermazioni di Vincenzo a Manerbio. L’incontro con lui era programmato per il 26 novembre 2015, nella sala multimediale della biblioteca (da lui molto apprezzata). La solitudine come punto d’osservazione privilegiato sulla realtà: questa è la spina dorsale della sua ispirazione. Essa ha generato le due raccolte pubblicate da Calò, “C’è da giurare che siamo veri…” (Roma 2011, Gruppo Albatros) e “In un bene impacchettato male” (Gaeta 2014, deComporre Edizioni).
            La prima tratta del desiderio di esprimersi, della ragione che lotta contro l’ignoto e i luoghi comuni allo stesso tempo, della crisi economica che rende difficile “essere veri”, fare scelte che non siano solo di sopravvivenza. “Ci riempiamo di discorsi/Tra l’essere e l’avere/Con la costanza degli artificieri./La polvere dei dettagli/Vince un sogno/Il cuore da riscoprire/Per assistere almeno il tuo mondo/Di sorrisi da ricaricare/Tra i materiali naturali/Estraendo una stella dal cielo.” (p. 39).
            La seconda raccolta allude a tutto il “bene” (sogni, creatività) “impacchettato male” da quell’involucro inaffidabile che è l’attualità. “Voglio dormire tra le tue cose da fare/come un frutto raccolto/in un unico gesto, impossibile d’abbreviare/per la noiosa normalità che/l’arte dei nostri caratteri non vuole vincere.” (p. 38). Anche in una stanza buia, il cervello continua a lavorare. E, sebbene le necessità economiche abbiano tolto l’alloro dalla testa del poeta, non significa che essa sia vuota e inutile. La vista di un solitario non perdona – nemmeno all’indolenza diffusa, alla morte di una “cultura pop” degna di questo nome. I giovani come Vincenzo Calò sono determinati a far uscire la poesia dal grembo della città natale, dal santuario della carta stampata, per diffonderla sui muri e sul web. “Perché vogliamo alzare i cuori d’istinto/questi muscoli chiusi come numeri da giocare/per svanire nella fortuna già avuta/nel respiro del denaro” (“In un bene impacchettato male”, p. 20).

Pubblicato su Paese Mio Manerbio, N. 103, dicembre 2015, p. 8.

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