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Molto più che a-Moccia


Può capitare. Ci si trova su un pullman, diretti alle Ferie Matricolari di Perugia, con il televisorino pronto a intrattenere i passeggeri. E –ironia della sorte- il film è Universitari di Federico Moccia. Il quale ci tiene a informarci che gli studenti, quando creano legami di gruppo fra loro, sono molto più che amici.

            E lo vieni a dire a noi? A noi goliardi, che ci consideriamo fratelli?

Comunque, un pregio, nella situazione, c’era: mi offrì l’occasione di degustare una deliziosa perfidia.

Dunque…

Ci sono loro: gli amiconi coinquilini, con tanto di fetentone che si mura vivo e non paga l’affitto, di bell’esule disceso direttamente dai Mori delle chansons de geste (sì, la profondità del confronto interculturale è quella), di giovanotto mal cresciuto che illude una casalinga disperata e –dulcis in fundo- di protagonista che sviene una tantum per “sindrome del cuore spezzato” (Fede, ma da che manuale di medicina l’hai tratta?!). La padrona di casa è, ovviamente, un’arpia succhiasoldi dal passato infelice (non sia mai che ci siano personaggi sani di mente). Un giorno, la Regina delle Sanguisughe impone un terribile diktat: o aumento degli affitti, o apertura della residenza all’altra metà del cielo. Potete immaginare quanto siano affranti i tre bellimbusti (il fetentone si è defilato in anticipo, come Giuda Iscariota), all’idea di convivere con tre Barbie Moccia-style. Sì, le lagne di maniera ci sono, come d’uopo: «Addio gare di rutti!» «Ma se non le abbiamo mai fatte…!» «Magari, poi, i loro fidanzati penseranno che ce le trombiamo…» (Dov’è il problema? Lascia pur grattar dov’è la rogna, diceva il Sommo…).

Comunque, arrivano due ragazze… e, chissà perché, le querimonie tacciono d’un colpo. Dico solo che le fanciulle avevano le facce di Nadir Caselli e Sara Cardinaletti.

Siccome non c’è il due senza il tre, ci vuole un’altra donzella –anche per dividere l’affitto, ovviamente. Così, arriva una velina mancata (segni particolari: Grande Neurone Solitario), che sarebbe l’alternativa a uno studente di teologia dall’eloquio pontificale. Meglio prendersi la soubrette e lasciare che costui trovi la propria via –magari, quella verso il soglio di San Pietro.

Ora, il dramma può svolgersi in pieno. Ecco che arriva tutto: la figlia col padre cafone e l’amante professore, la casalinga disperata che lascia il marito per scoprire che il suo giovincello –guarda un po’!- non faceva sul serio, il Moro carolingio che deve riconquistare la fidanzata ed evitare la promessa sposa connazionale… di nove anni. E il protagonista con la sorellina darkettina che gli dà mille pensieri… e una tesi di laurea da elaborare… Ecco, quest’ultima è l’unica tragedia credibile, nel corso del film.

Non possiamo tacere delle riflessioni di profondità sconvolgente. Per esempio, quelle sui ruoli di genere: «Perché una donna dovrebbe somigliare a un uomo? Insomma… io la gonna non me la metterei…» Sì, hai proprio capito tutto del Paese in cui sei approdato, caro il mio Moro carolingio. Il problema è che molti che ci sono cresciuti non arrivano più in là di te.

Ma la Perla Suprema è l’incontro fra la velina (ovviamente, con una vita segreta strappalacrime) e la madre. La signora arriva alla residenza universitaria (carramba, che sorpresa!) e consegna alla figlia –con un tempismo perfetto- la Barbie che costei aveva chiesto in regalo da bambina. «Non te l’ho mai data, perché… non volevo che diventassi come questa bambola». Mi sa che ha portato il soccorso di Pisa, cara signora.

Il film approda al cortometraggio col quale il protagonista dimostra al relatore e all’università tutta di meritarsi (?) una laurea nel campo dello spettacolo. La pellicola è un chiaro riassunto del film stesso (mamma mia, che genio metacinematografico!). Messaggio dell’elaborato: Raga’, che vi frega dei tagli alla pubblica istruzione e della vostra futura disoccupazione? Ma pensate ai vostri inciuci erotico-amicali e alle vostre manfrine, che è meglio! Sì, Fede, so che l’hai detto in modo più edulcorato. Ma, anche inzuccherato, il guano resta guano. Del resto, uno dei personaggi –il cornuto consorte della casalinga disperata- lo dice a lettere più chiare: «Siete una generazione senza palle!»

Va bene. Sappiamo di dover raccogliere un’eredità gravata di debiti, di doverci molte volte pulire le terga coi nostri titoli di studio e di doverci vendere al ribasso alla prima azienda che passa, per poter campare… Ma che, dopo questo danno, ci debba venire anche la (tua) beffa è veramente sconfortante.



P.S. Dimenticavo: questo film ospita una delle più rare perle di mélo-trash che mi sia mai capitato di buscare. «Ragazzi… fra dieci anni, ritroviamoci qui e raccontiamoci come siamo diventati». Mi sto ancora facendo le iniezioni di insulina.



P.P.S. Secondo la pagina di Wikipedia dedicata al film, Universitari è stato presentato presso l’Università degli studi “Niccolò Cusano” di Roma, “alla presenza del regista, del cast, di psicologi e universitari”. Ma perché?


La recensione che più esprime lo schietto sentimento goliardico di fronte a questo film.

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