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Erica Gazzoldi e Delia Vaccarello



Cara Delia, ho appena finito di leggere il tuo romanzo, "Quando si ama si deve partire". Ricercavo in esso la prosa magica e scorrevole di "Amore e vendetta", non rimanendo delusa. Credo che il fascino del tuo stile sia proprio nella sua naturale commistione di narratività e lirismo, nel suo scorrere liscio come un canto. La tua penna guida con perizia e stupore nei meandri della psiche; ciò è evidente soprattutto quando descrivi i sogni dei personaggi. Mi ha colpito il ruolo riservato al cucciolo ritrovato e seppellito da Angela: attraverso i suoi ricordi e la rielaborazione del suo inconscio, acquista una sorta di significato assoluto, diviene simbolo ricorrente e fa riemergere il trauma infantile della protagonista. Un altra sfumatura che vorrei sottolineare è lo "sguardo d’acqua" di Andrea, che sembra suggerire un’ermeneutica del mondo.Mi sono piaciute ripetizioni studiate: quella del ricordo di Cesare nel suo stesso funerale e quella delle impressioni di Tamara davanti al padre defunto, che sono le stesse di Angela davanti all’inespressività dell’amante. Il tuo romanzo ha lasciato in me impressioni durature, che ritorneranno più volte, come formule di un incantesimo mai compreso fino in fondo. http://quandosiama.blog.tiscali.it/2008/07/25/quando_si_ama_si_deve__partire_1915625-shtml/
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http://evvivalaneve.blog.tiscali.it/2010/12/31/aprono-la-mente-le-storie-di-evviva-la-neve-nei-commenti-dei-lettori-e-delle-lettrici-il-miglior-augurio-per-tutti-di-un-ottimo-anno-e-di-un-ottimo-futuro/comment-page-1/?doing_wp_cron
Cara Delia, le biografie raccolte in “Evviva la neve” mi hanno letteralmente aperto una finestra su una realtà di cui si parla spesso, ma superando raramente i limiti del gossip. Di transessualità avevo sentito discutere più volte, ma da lontano; tu, invece, porti “la torcia al fondo della caverna”, usando un’espressione coniata per le tragedie alfieriane. Ho seguito la cronaca dell’intervento su Daniela come se fossi stata presente, con commozione e tensione. Mi sono resa conto che una simile transizione, di solito vissuta con sconcerto da chi la osserva esternamente, ha molto in comune con lo schiudersi di una crisalide o lo sviluppo embrionale. O, forse, il paragone è possibile anche con l’arte. Pensando ai protagonisti delle vicende descritte, mi venivano in mente i “Prigioni” di Michelangelo Buonarroti: figure che lottano per uscire dal blocco marmoreo che le rinchiude, destinate dallo scultore a rimanere “in divenire”, come dice Porpora Marcasciano.
Per quanto riguarda le mie convinzioni precedenti, mi era capitato di imbattermi in un documentario (su LA7, credo) che parlava di transessualità ed intersessualità (ma senza la partecipazione umana che anima i tuoi racconti). Condividevo la convinzione di molti che l’identità sessuale non fosse arbitraria ed ho visto che per trans e transgender ciò è più vero che mai. Adattare il corpo alla propria anima non è scelta, ma bisogno irrinunciabile, come ti sei adoperata per far capire.
Credo che in molti sentano questa necessità, anzi, tutti, pur senza dover farsi riattribuire il sesso. Ogni giorno adattiamo il corpo al sentire, curandoci, vestendoci, scegliendo ideali estetici o stili che sentiamo come nostri. Arrivare a provare ripugnanza per i propri organi, però, mi sembra una prova che va al di là di tutto questo e che rende ancora più preziosa la propria identità, sessuale e non solo. Certamente, la lettura di “Evviva la neve” farà passare a molti la voglia di gossip e battute scadenti.

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