Dico
a te.
Sì,
proprio a te, che hai dimostrato di seguire questo blog, anche se affermi che “ora
come ora, non ti interesso più di tanto”. A te, che hai detto che lo uso per scrivere
“quello che mi fa comodo”: ovvero, per pubblicare quello che penso e il mio
punto di vista, come ho sempre fatto.
Però, quando stavi cercando di accattivarti la sottoscritta, tutto questo era abilità di scrittrice.
Una cosa ammetto: da un paio di
mesi, le mie considerazioni sono ispirate alle incomprensioni che ho subito da
parte tua. Lo schermo del blog è un modo per sfogarmi e rielaborare allo stesso
tempo, mettendomi a nudo davanti ai lettori. È questo che tu hai chiamato “il
mio comodo”, o il mio “scarico di coscienza”. Mi spiace per te, ma io non ho un
bel niente da scaricare dalla mia coscienza, checché tu ti sia ficcato in
testa.
Hai definito così anche il mio
tentativo di risvegliare la tua parte ragionante, di farti vedere che
comprendevo la tua prospettiva, ma che non
potevi guardare solo quella. Da un po’ di tempo a questa parte, la
tolleranza e la dialettica dei tuoi amici sono sempre vigliaccheria e ipocrisia, per te. Basta che qualcuno osi
scambiarsi un parere su di te che non sia del tutto elogiativo, perché tu lo
accusi di parlarti alle spalle. Neppure
Tarquinio il Superbo era così sospettoso sugli eventuali cospiratori. E tu –
stai pur tranquillo! – non sei nemmeno lontanamente influente e in vista quanto
lui. In compenso, credi ciecamente a una persona che ti sfrutta per il proprio
utile, così come fa con chiunque, senza nemmeno darsi pena di nasconderlo. Ma
tu la tratti come un angelo caduto a cui ridare le ali. Poi, gli illusi e i
romanticoni sarebbero gli altri…
Visto che la mia bontà e il mio
(nonostante tutto) affetto verso di te sono stati disprezzati con insulti, ho
deciso di metterli da parte. E di mettere da parte anche le considerazioni
generali, per andare dritta al punto.
Quando ci siamo conosciuti, eravamo
accomunati da una scarsa stima in noi stessi e dalla preoccupazione di doverci
costruire un futuro. Solo fra noi potevamo sfogarci pienamente, senza timore di
essere considerati irritanti o bambocci. Questo ha costruito una sincera
solidarietà. Ma non una vera parità. Ti sei accorto – mi pare – che io avevo
fatto di me stessa una bambola, incapace di fare un passo senza domandare il
tuo oracolo. Ma non avevi capito che una persona nelle mie condizioni non poteva
prendere decisioni durature . C’erano bensì, da parte mia, interessi profondi,
come quello verso il tuo circolo, la tua spiritualità e gli intellettuali che
conoscevi. Ma qui finiva quello che consideravi “il mio mutamento”. Sei stato
folle a pensare che qualcuno potesse rinnegare famiglia, vissuto, formazione,
fede, solo per un periodo in cui era depressa e con l’autostima ai minimi
storici. Mi hai detto che sono “superficiale”, perché ho fatto osservazioni
disincantate sul tuo anticlericalismo da adolescente e sulla tua volontà di
nascondere la storia della tua religione agli occidentali – segreto di
Pulcinella! Sapessi quanto sono ricercati su Google, dall’Italia, i link che ho
pubblicato…
Se
di superficialità si deve parlare, è superficiale chi nega la propria fede e la
propria formazione per un momento di scoraggiamento o per paura della “brutta
figura con i consoci”. È superficiale chi si approccia alla religione come a qualcosa
di astorico, di slegato dalle istituzioni o – viceversa – di strumentalizzabile
a piacimento. Se questo è il tuo atteggiamento, corri ai ripari, invece di
giudicare chi non conosci realmente.
Ho ripescato un brano di Casa di bambola di H. Ibsen. Nemmeno questo è un caso. Come la Nora del dramma, ho vissuto – per circa un
anno – presentandoti atti di bravura. Tutte le discussioni in cui m’imbarcavo
su Facebook, o quelle che facevo con te, erano modi per dimostrarti che ero alla tua altezza. Povera pazza. Non
eri migliore di me. Eri solo più bravo a nascondere le tue fragilità e le tue
incoerenze. Pur di compiacerti e sentirmi superiore
a me stessa, mi schieravo pubblicamente contro la persona di cui mi andavo
innamorando, ostentando un’inimicizia insanabile nei suoi confronti. Cosicché,
quando non ho più potuto mentire a me stessa, ho fatto la figura della
banderuola su tutti i fronti. Ma non importa. Non inseguirò più la “bella
figura” con nessuno. Così come non lo facevo prima di incontrarti.
Mi
hai accusato di essere cieca sui miei
familiari, di essere troppo condiscendente nei loro confronti. Ma tu, dei
miei rapporti con loro, conosci soltanto quelle quattro sciocchezze che ti
dicevo per sfogo, come i ragazzini. Sappi, ora, che non ho mai “preso per oro
colato” quello che dicevano. Nemmeno quando ero bambina, perché ero una bastian
contraria nata. Sì, questo è vero: sono una bastian contraria. Ma, per tua
norma e regola, quando scrivo qualcosa in pubblico, lo faccio perché lo penso veramente. Con tutta me stessa.
Se non ti va, problemi tuoi. Io non
sono più una bambina. Mentre tu non sei nemmeno riuscito a capire che è finita
l’età per fare il goliardone e per essere scusato in tutte le tue reazioni
spropositate. Se qualcun altro si permette di mostrarti una ferita sentimentale
o d’orgoglio, tu lo condanni settanta volte sette. Ma fai peggio di lui e
pretendi pure di essere capito. Secondo te, uno – in pochi mesi – dovrebbe aver
dimenticato qualunque sentimento verso la persona che ha amato e per cui ha
sofferto quasi otto anni. Ma, se si tratta di te, ti senti autorizzato a fare
scenate a una tizia con cui sei uscito per un annetto, senza impegno. Se
qualcuno evita uno scandalo o un litigio inutile, è da te giudicato vigliacco.
In compenso, fai scherzi puerili alle persone che disprezzi, senza nemmeno
metterci la faccia tua, o credi di poter nascondere segreti di Pulcinella sui
movimenti a cui aderisci. Ti sei sentito in dovere di farmi sapere che hai un’amichetta
che ti fa la spia sugli affari miei, come fosse cosa di cui vantarsi. Mi hai
sbattuto in faccia il telefono più volte, senza ricordarti che hai condannato
senza appello qualcun altro che l’ha fatto con te – e con più ragione. Vuoi che
gli amici siano franchi, eppure – se provano a contraddirti, a muoverti qualche
rimprovero – li investi con un fiume di parole e rigiri tutto quanto con la
forza della lingua. Senza contare che ti senti in diritto di far sopportare i
tuoi continui sfottò e le tue fissazioni. Poi, chi è che fa i propri comodi?
Ti
senti una brava persona perché ti
preoccupi per l’umanità. Ma quelli che pensano all’ “umanità” si rapportano
con un fantasma. La statura morale si misura col prossimo, ovvero con chi ti
vive accanto, in carne ed ossa, con il proprio carico di difetti e fastidi. In
questo, non sei esattamente un campione. Per vivere con gli altri, hai bisogno
di zittirli e pretender da loro un grado di fiducia che tu non ti sogni manco
di concedere a terzi. Questo non è un rapporto.
L’hanno imparato meglio di te quei “provinciali” a cui ti senti superiore. Perché,
per sapere cosa significhi vivere con gli
altri, bisogna vederli in faccia e sopportarli, come si fa nei paesi. Le
grandi metropoli impersonali non insegnano
a relazionarsi. Semmai, offrono una comoda solitudine. “Maturità” non è far
tutto quel che si vuole. È saper mettere da parte i propri castelli in aria, la
propria superbia e le proprie pretese per capire che esistono anche le esigenze degli altri. E che l’erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re. Una persona
che dedica la propria vita a non aver
limiti e a ottenere tutto quel che le
salta in testa non è “indipendente”, né “progressista”. È un* stronz* che
usa gli altri come mero strumento e che ride, se spezza il loro cuore. L’ho
dovuto imparare io stessa, a mie spese.
Dulcis
in fundo, elevi a questioni d’onore
faccende di mero puntiglio. Poi, ti stupisci che io non ci dia importanza…
Ma
suvvia… Visto che io sono un’ingrata,
superficiale, che vede solo il proprio comodo, ho sempre riconosciuto la
tua buona fede e l’ho ricambiata con affetto. Quanto tu gli abbia dato prezzo,
non so. Ultimamente, l’hai proprio calpestato, scambiandolo per viltà. Margaritas ante porcos.
E continuo a parlarne su questo
blog, sì. Perché una cosa del genere brucia.
L’amorevolezza e la franchezza disprezzati generano cicatrici. Anche se tu riconosci solo a te stesso
il diritto di continuare a coltivare rancore, e per cose che sono
fondamentalmente sciocchezze. È finito il tempo di giocare con le bambole.
Come dice Nora, ci vorrebbe un
miracolo. Un mutamento tale da trasformare il nostro attaccamento post-adolescenziale
in amicizia. Ma non so se debbo credere ai miracoli.
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